Il
Filarete
Un architetto del '400 ha qualcosa da dirci
Aprile 2005
di Edoardo Montrasio
Antonio
Averlino detto Il Filarete, architetto toscano del '400, che operò
molto nella Milano degli Sforza, nel suo "Trattato di Architettura"
sosteneva che, di un’opera architettonica, il padre non
fosse l'architetto, ma il PROMOTORE, ovvero colui che avverte
la necessità, le funzioni e le finalità di un opera;
e le trasmette al-l'ARCHITETTO, il quale, sempre secondo il Filarete,
è madre della futura costruzione. L'opera è la creazione
spirituale di entrambi: il promotore è colui che la concepisce,
l'architetto colui che la gestisce e partorisce.
Il Filarete, pur essendo consapevole del suo valore e della sua
funzione, avvertiva la necessità di una guida illuminata,
di un supervisore che sapesse stimolarlo sottoponendogli continui
quesiti da risolvere; e che nel contempo avesse l'intelligenza
di ascoltare ciò che lui,architetto, gli suggeriva.
Il Rinascimento deve la propria fortuna a queste simbiosi fra
PROMOTORE e ARCHITETTO.
Francesco Sforza fu per il Filarete il modello del grande promotore
dalle vastissime vedute; i progetti architettonici da lui formulati
per Pavia e Milano, i miglioramenti delle reti stradali e delle
canalizzazioni recano tutti l'impronta del suo senso urbanistico.
La sua città ideale è intesa non solo esteticamente,
ma anche funzionalmente, come un organismo globale dove ciascun
edificio, nella sua individualità, ha un rapporto ben determinato
col resto.
La descrizione che il Filarete fa dell'Ospedale Maggiore voluto
dallo Sforza ci permette di comprendere fino a che punto tutto
fosse stato concepito per soddisfare nei minimi particolari le
esigenze pratiche e sanitarie di un ospedale. All'epoca, queste
teorie urbanistiche potevano essere realizzate solo nel ducato
di Milano. E questo perché altrove, il progettista non
poteva contare sulla collaborazione di un promotore illuminato
del calibro di Francesco Sforza.
Per trovare oggi un esempio di tale statura dobbiamo, purtroppo,
espatriare in Francia. "Io vorrei ardentemente che Parigi
avesse un centro culturale che fosse al tempo stesso museo e centro
ricreativo, dove le arti plastiche si integrassero con la musica,
il cinema, i libri, la ricerca audiovisiva, ecc. L'edificio, logicamente
sarà moderno e con la possibilità di evolversi continuamente.
La biblioteca attirerà sicuramente migliaia di lettori
che al tempo stesso saranno in contatto con l'arte moderna".
Con queste poche parole, che valgono da sole metà progetto,
il presidente Georges Pompidou propose la costruzione di un centro
culturale destinato a differenti forme dell'espressione artistica
contemporanea ed a biblioteca pubblica.
Il concorso fu vinto dall'architetto Renzo Piano, allora sconosciuto,
non iscritto a nessun partito, e per di più non francese.
Sicuramente poteva vincerlo qualcun altro dei 681 partecipanti
al concorso e sarebbe senz'altro stato diverso. Ma in nessun caso
Parigi avrebbe avuto un centro culturale di livello mondiale se
un giorno il signor Pompidou non avesse avuto l'idea e la volontà
di scrivere alcune righe.
Il cardinale Martini, ex arcivescovo di Milano, denunciò
le chiese costruite in questi ultimi anni. "Non voglio più
vedere chiese anonime ed appiattite come stazioni di servizio"
E poi: "Emozione e mistero debbono essere percepibili subito
a tutti come nelle chiese antiche". E' una parola! Sicuramente
il cardinale sa che le chiese antiche furono costruite per la
maggior parte da religiosi, monaci o frati, che , per necessità
e passione, sapevano progettare e costruire chiese ed edifici
sacri. E quando non lo facevano personalmente, intervenivano direttamente
nella progettazione suggerendo all'architetto,od al semplice scalpellino,le
finalità ed il senso spirituale dell'opera da costruire.
Il processo di transizione dal romanico al gotico maturò
all'interno degli ordini benedettini francesi, cluniacense e cistercense.
Per esempio a basilica di Assisi di S. Francesco fu progettata
e diretta da un frate, così come S. Maria Novella a Firenze.
L'"emozione e mistero" non possono essere tradotti in
architettura da uno che questi sentimenti non vive personalmente,
e crede di progettare una chiesa fra i disegni di un centro commerciale,di
un residence o un piano di lottizzazione.
Perciò, Martini fa bene a puntare il dito sulla mediocrità
degli architetti, ma dovrebbe anche ammettere che in questi decenni
la chiesa è stata una pessima committente, o se preferite,
per dirla col Filarete, una pessima PROMOTRICE.
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