Giuseppe
Parini: il poeta bistrattato (parte quarta)
Aprile 2006
Il
videoregistratore di cui ho parlato nell’articolo precedente,
è rimasto in pausa un po’ più a lungo del
previsto e ora reclama di essere riavviato. Click… il tasto
play è stato premuto e la videocassetta della vita di Giuseppe
Parini riprende a scorrere sotto le testine.
All’orizzonte cominciano a scomparire le antenne dei cellulari;
i cellulari stessi… le automobili cominciano a mutare forma
per trasformarsi in carrozze, mentre i jeans a vita bassa lasciano
il posto alle sontuose gonne delle giovani nobili o a quelle più
modeste delle villane. La trasmutazione alchemica è completata:
signore e signori… bentornati nel ‘700.
Abbiamo lasciato Parini mentre litigava con padre Branda in merito
al valore della lingua italiana e a quello del dialetto milanese.
Facciamo ora un piccolo salto in avanti fino a giungere al 1762.
L’anno in questione fu piuttosto duro per il poeta bosisiese.
Al dolore per la recente perdita della madre si aggiunse un inasprimento
del suo stato di povertà; tuttavia, la situazione migliorò
l’anno successivo. Parini prese servizio, in qualità
di precettore, presso gli Imbonati e in quello stesso anno diede
alle stampe “Il Mattino” a proposito del quale Francesco
Reina disse:
«...lo lesse egli a Francesco Fogliazzi,
indi a una brigata di dotti amici, che meravigliandone lo persuareso
a pubblicarlo. Era di que’ dì Ministro Plenipotenziario
dell’Austria in Lombardia Carlo Conte Firmian, personaggio
di esimie doti morali e intellettuali [...]. Fogliazzi parlò
a Firmian dell’eccellente poesia del Mattino, e della risoluzione
di stamparla, benché vi si mordesse l’ozio de’
Grandi: ottimamente rispose il Ministro, ve n’ha bisogno
estremo. Divolgatosi il Mattino nel 1763, l’Italia tutta
fece plauso alla novità ed eccellenza del medesimo...»
Nella Biografia redatta da Ferdinando Cesare Farra viene indicato
che il compenso ricevuto da Parini per la pubblicazione ammontò
a 150 zecchini.
A distanza di due anni, siamo dunque giunti al 1765, venne pubblicata
la seconda parte del poema: “Il Mezzogiorno”.
Negli anni che vanno dal 1765 al 1782 il Giuseppe Parini scrisse
i “Prologhi” che costituiscono una prova del prestigio
di cui godeva presso Firmian (ministro plenipotenziario di Maria
Teresa D’Austria). Nel 1766 Parini venne addirittura invitato
da Du Tillot ad insegnare eloquenza a Parma, ma il poeta rifiutò
per non staccarsi da Milano, ma soprattutto perché lo stesso
Firmian gli aveva velatamente lasciato sperare in una cattedra
nella sua città di adozione.
In quello stesso anno la situazione economica del poeta bosisiese
migliora in virtù di dell’eredità ricevuta
dal prozio Francesco Carpani, cappellano in Proserpio. A proposito
di questo prozio, piuttosto spilorcio, in alcuni veri giovanili
ebbe a dire:
«Se vedete il signor prete Caspano, il quale sta a Proserpio
ed è mio Zio, fategli da parte mia un baciamano, e ditegli
che son vivo ancor io, e che farebbe meglio a ricordarsi alcune
volte un po’ del fatto mio,
e ch’ei farebbe bene a dimostrarsi che non sol di parole
ei m’è parente […]»
Anche se a molti anni di distanza l’eredità del “signor
prete Caspano” verrà messa a buon frutto da Parini,
anche se per poterla riscuotere dovette aspettare il 1771.
Prima di lasciarci ancora una nota sul nome. Nel componimento
del poeta bosisiese non viene usato il nome “Carpani”
come io ho indicato sopra, ma “Caspano”. Ancora una
volta un piccolo giallo interessa la famiglia Parini per quanto
riguarda i nomi.
Il cognome della madre per conto di cui questo prozio era parente,
è dubbio e barcolla tra “Carpani” e “Caspani”
(ancora oggi tutti e due i cognomi sono presenti nel nostro territorio)
anche se a detta di Parini dovrebbe essere “Caspani. A questo
aggiungiamo la licenza poetica per far la rima baciata nei versi
ed ecco che “Caspani” viene trasformato in “Caspano”
(che fa’ rima con baciamano).
Anche per questa volta fermiamo il vostro videoregistratore, scendiamo
dalla carrozza per salire su una moderna automobile. Togliamoci
garbatamente il cappello a tre punti e la marsina per indossare
nuovamente un giubbetto di jeans… tornare al 2006 in abiti
del ‘700 creerebbe qualche problema!
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