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Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Aprile 2007

L’ETICA SPORTIVA (terza parte)

Gli articoli dedicati all’etica sportiva a giudicare dalle numerose e-mail ricevute hanno suscitato interesse, ma anche qualche inevitabile polemica. Non mi meraviglia ciò perché come diceva Goethe “Ogni parola che si pronuncia suscita l’idea del suo contrario”. Molti mi hanno chiesto se non avessi una visione piuttosto negativa del calcio e dei suoi protagonisti, visto come un mondo popolato da violenza e corruzione, quasi selvaggio “far west”. Premesso che sono stato sempre innamorato del calcio, da me praticato a livello dilettantistico, anche se con modesti risultati, non sono e non sarò mai animato da alcuna forma di cultura del sospetto perché la ritengo una strada che non ci fa approdare alla verità ma ci fa cadere nell’intolleranza, devo però rimarcare che la violenza ci assilla forse soprattutto perché ha invaso campi che, al contrario, dovevano costituire un baluardo contro la violenza stessa. Non ritengo applicabile ciò che diceva Proust “Ci sono dei mali da cui non bisogna cercare di guarire, perché ci proteggono da mali più gravi” e, pertanto, dobbiamo cercare di capire quali sono i mali che assillano il calcio al fine di porvi rimedio e restituire dignità a questo sport che come diceva Peter Handke “per le persone meno fortunate rappresenta il solo contatto con l’estetica”. Anche Pasolini disse che “il calcio è un linguaggio che ha i suoi poeti ed i suoi prosatori”. “Moggiopoli” (che detto per inciso è stata proclamata dai linguisti della “Rivista italiana di Onomastica” e del “Laboratorio Internazionale di Onomastica” dell’Università di Roma Tor Vergata “parola dell’anno 2006”) si presentava come l’irripetibile occasione per far una radicale pulizia nel mondo del calcio: purtroppo non è stato così e non si è voluto far risorgere un calcio pulito dalle sue ceneri, dimenticando che non ci può essere la Pasqua se non c’è prima il Venerdì Santo. La violenza è presente nel calcio, ci toglie il fiato ed emerge quando si caricano le partite di significati eccessivi ed extrasportivi, quando anziché l’avversario si crea il nemico non fosse altro che per riempire il vuoto delle nostre coscienze e l’assenza dei valori etici. Questa forma di violenza è frutto sia di mera brutalità che di ignoranza, ma c’è pure un’altra forma di violenza che consiste nel tacere, nell’assistere alla violenza e astenersi dal rimarcarla e condannarla senza riserve. Un errore rivela una colpa, due errori la coprono. Alcuni media sportivi italiani parlano spesso di violenza come un “male della moderna società” con cui il calcio ha poco da spartire: è un atteggiamento ipocrita perché si riversa sullo Stato e sulle Forze di Polizia l’onere di trovare risposte adeguate, senza tentare loro stessi di fare qualcosa in proposito. Diverso fu l’atteggiamento della stampa inglese che interpretò il fenomeno degli “hooligans” come un male prodotto dallo stesso calcio e non dalla società, nonostante i loro esponenti avessero esperienze sociali comuni: provenienza dagli strati sociali più disagiati e condizione economica precaria. Molte cose si potrebbero fare per migliorare il calcio, ma c’è veramente questa volontà di rinnovamento? Non sembra! Non passa settimana che sui campi c.d. minori non vi siano episodi di pestaggi a carico di dirigenti e tifosi avversari, aggressioni agli arbitri, brutali liti tra i giocatori. Il più delle volte, a meno che non ci sia il morto o non siano concomitanti con episodi dei campionati superiori, non fanno neppure notizia, quasi un dazio necessario da pagare. Le recenti cronache sportive hanno offerto a livello internazionale spettacoli che definire indecenti è un eufemismo, vedasi Chelsea-Arsenal in Inghilterra, il derby di Siviglia in Spagna, le partite di Champions League Valencia-Inter, Roma-Manchester ecc.. Per restituire dignità e credibilità al mondo del calcio occorre instaurare ad ogni livello una vera civiltà sportiva per far comprendere che le partite non sono delle sfide infernali da vincere ad ogni costo. Questa civiltà sportiva si potrebbe creare estromettendo quei dirigenti c.d. “incendiari” che cercano nel calcio solo il proprio tornaconto, condannando severamente i tifosi intemperanti e violenti che cercano una visibilità che copra il vuoto etico della loro esistenza. Un discorso a parte meritano i calciatori che con i loro comportamenti infiammano i propri tifosi.
(Continua )



 

 

 

 

 
 
 
       

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