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Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
aprile 2008

CHE COSA E’
LA FILOSOFIA

(Settima parte)

Un lettore, che dichiara di essere stato anche ascoltatore della mia conferenza sul pensiero politico di Platone, mi ha chiesto di meglio specificare la finalità politica che ha la filosofia in Platone. In quella conferenza, confortato dal parere di illustri studiosi, avevo detto che il problema politico era il punto di riferimento, la pietra angolare di tutto il pensiero platonico. Platone apparteneva a nobile famiglia: il padre Aristone discendeva da Codro, l’ultimo re di Atene, la madre Perictione da Solone, uno dei “Sette Savi”,Carmide, uno dei “Trenta Tiranni” era lo zio materno, Crizia, il capo dei Trenta,, era cugino della madre, il fratello Glaucone da giovane si era dato alla politica: tutto sembrava spingerlo ad una brillante carriera politica ed egli stesso nella “VII^ lettera” dirà “essendo allora giovane mi capitò lo stesso che a molti: pensavo, appena fossi padrone di me stesso, di dedicarmi alla politica”. L’incontro col maestro Socrate cambiò il corso della sua vita perché gli fece vedere la politica sotto una luce nuova: essa era un’arte e solo i sapienti in quell’arte potevano esercitarla.

Ma chi potevano essere costoro? Rimase deluso dai Trenta e dallo zio Crizia, autore di molte infamie, né le cose andarono meglio con la restaurata democrazia, che mise a morte Socrate, così che disse “quanto più esaminavo questi politici tanto più mi sembrava che fosse difficile partecipare all’amministrazione dello Stato restando onesto”. Gli ultimi residui di idealità nella politica ateniese vennero poi meno dopo l’alleanza con la Persia contro Sparta. La crisi che subì fu superata dalla verità che è al centro della sua dottrina dello Stato: “il politico deve essere un filosofo”. Come dirà Jerphagnon “il vero politico sarà l’uomo che conoscerà razionalmente i valori che condizionano il bene degli individui che vivono in società. Il politico degno di questo nome avrà la conoscenza del bene in sé e per sé. Egli sarà il filosofo”. In precedenza Platone non vi aveva insistito sia perché non vedeva in Socrate il politico né vedeva sé come filosofo: aspirava alla vita politica, ma poi se ne ritraeva per i suoi guasti e ritornava alla filosofia e, del resto, optare per una delle due avrebbe comportato il sacrificio di una parte di sé. La soluzione gli venne dall’innalzamento della politica alla filosofia: “il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male se prima o non fossero giunti al potere i legittimi e veri filosofi o i reggitori dello stato non fossero, per divina sorte, divenuti veramente filosofi”. Queste tematiche Platone le preparò nel “Gorgia” e le dispiegò ampiamente nella “Repubblica”. Nel primo Platone non condanna tanto la retorica in quanto metodo di comunicazione, quanto l’uso distorto che se ne faceva da parte dei politici. L’abilità oratoria era la via maestra per acquisire il potere politico, perché era l’unico mezzo di comunicazione di massa, l’unico strumento per influenzare la volontà dei cittadini che nelle assemblee popolari dell’Atene democratica erano chiamati ad importanti decisioni, oltre che essere pure uno strumento per difendersi nei tribunali popolari dalle insidie giudiziarie insite nella carriera politica. Nella “Repubblica” delinea i contorni del suo Stato ideale i cui governanti non possono che essere i filosofi “quelli autentici, quelli che possiedono tutte le virtù e la vera scienza che è quella dell’intelligibile che sempre è e mai muta”. Il significato profondo del pensiero platonico è in ciò: egli deluso dalle vicende politiche del suo tempo ritiene che l’unica via di uscita sia porre i filosofi alla guida dello Stato o far sì che i governanti diventino veri filosofi. Solo il filosofo, conoscendo il Bene in sé, può attuare la giustizia all’interno dello Stato. La “Repubblica” di Platone non è certo un trattato politico in senso stretto perché egli ha voluto soprattutto delineare la “forma prima” dello Stato, è un modello di Stato “mai nato” cui l’uomo può però aspirare se solo si pone in condizioni di “uscire dalla caverna”. E’, se vogliamo, il prototipo di uno Stato che se non esiste nella realtà concreta vive come ideale cui tendere, ha la stessa esistenza eterna e perfetta delle “idee”. Ecco allora perché conclusi quella conferenza sostenendo che Platone come politico non era affatto un sognatore o un utopista, anzi un filosofo estremamente coerente. Egli era il primo a sapere che “questo Stato perfetto, uno con la scienza, non sarà mai di questa terra, ma vale proprio per questo”. Il suo modello di Stato ha un’intima coerenza con la sua dottrina delle idee, modelli eterni, incorruttibili ed invisibili ma certo più reali di ogni apparente realtà, perché costituenti realtà intelligibile che può essere colta solo con l’occhio della mente. Platone era probabilmente un grande sognatore però il suo era un sogno stupendo: la realizzazione di uno Stato in cui un uomo come Socrate potesse vivere liberamente, esprimere le sue idee e non essere condannato a morte a causa loro.





 




 

 

 

 

 
 
 
       

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