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Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Dicembre 2007

L’ETICA SPORTIVA
(nona parte)


Solo con il Rinascimento si assiste ad una ripresa delle attività sportive: Rabelais fa svolgere al suo Gargantua numerosi cimenti sportivi. Secondo Montaigne per educare l’uomo occorre esercitare il suo corpo non meno della sua anima perché sono come “una coppia di cavalli attaccati allo stesso timone di un carro”. Queste furono senz’altro delle rivalutazioni importanti, però minime: una rinascita completa dello sport inizia solo nell’Europa del XIX° secolo sulla scia dei movimenti nazionalistici che erano stati promossi dal Romanticismo: si fortifica il corpo per fortificare la nazione. Il desiderio di far risorgere le competizioni sportive sulle ceneri di Olimpia e farle tornare in auge cominciò a svilupparsi verso la metà dell’ ‘800, allorché alcuni archeologi tedeschi trovarono le rovine dell’antica Olimpia e, parimenti, il barone francese Pierre de Coubertin,

nell’interrogarsi sulla sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana del 1870-71, giunse alla conclusione che i francesi avevano perso perché non avevano ricevuto una preparazione fisica adeguata come quella dei prussiani e si dedicò perciò a migliorarla attraverso la pratica sportiva. Egli cercava poi una maniera di consentire ai giovani di nazionalità diverse di “combattersi” nelle competizioni sportive e non più in guerra. La realtà delle cose fu però ben diversa e si finì per assistere ad una politicizzazione dei giochi da parte dei regimi totalitari di destra e di sinistra che volevano solo piegarli all’ideologia. Costituivano un modo di voler affermare la loro superiorità. Solo dopo i giochi olimpici di Mosca del 1980 si fa largo una progressiva e rapida spoliticizzazione degli stessi: i politici si fanno da parte ed al loro posto entrano gli operatori economici e così i giochi diventano una colossale operazione finanziaria, un business. Uno dei mali del calcio è stato, secondo il concorde parere di molti obiettivi opinionisti, l’entrata in scena di presidenti-manager che hanno posto fine al calcio come sport per tramutarlo in business le cui regole travalicano spesso l’ambito dell’etica: i manager sono stati visti come la rovina del calcio perché pensano solo a realizzare guadagni, mentre i vecchi presidenti pagavano di tasca loro. Per non parlare di coloro che cercano, attraverso il calcio, di gettare le basi per una carriera politica. Sotto questo aspetto nulla di nuovo sotto il sole. Sulla facciata, infatti, di una villa pompeiana, quella di “Giulia Felice”, venuta alla luce con gli scavi, campeggia una iscrizione ove si parla di un tale Aulo Vettio, “ costruttore e mercante di vini arricchitosi”, che a un certo punto decide di darsi alla vita politica candidandosi al Senato e cerca voti presso i tifosi della “squadra di palla” da lui “sponsorizzata”: rivolgendosi ai suoi potenziali elettori sosteneva di meritare i loro voti “per il lodevole e munifico piacere e per il godimento che offriva loro con la sua squadra”. A cosa si è ridotto oggi come oggi il mondo del calcio? Alcuni hanno detto che è una sorta di universo avviluppato in se stesso, un mondo chiuso ed impermeabile dove riuscire ad arrivare primi è quello che conta e già l’arrivare secondi, magari distaccati di un solo misero “punticino”, è visto come il fallimento della stagione agonistica. Altri, pur concordando, hanno però precisato che in fondo questo mondo non è altro che lo specchio della moderna società concorrenziale in cui viviamo e nella quale l’arrivare primi nella corsa della vita costituisce la principale e fondamentale unità di misura dell’esistenza. Non è altro, quindi, che un riflesso della crisi etica che investe tutta la nostra società. A proposito della crisi etica in cui si dibatte il calcio come specchio della nostra società il dr. Guido Rossi, già commissario straordinario del Federcalcio, ha affermato che non serve il ricorso a codici etici, ma semplicemente all’etica: premiare chi si comporta in modo corretto e punire all’opposto chi non rispetta le regole del gioco. E’ una cosa forse più facile a dirsi che a farsi, ma come diceva Ezra Pound “se uno non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni o le sue opinioni non valgono nulla oppure è lui a non valere nulla”. Ma a cosa abbiamo assistito finora? Le intercettazioni hanno scoperchiato il vaso di Pandora del malaffare gettando a iosa fango su un gioco che era stato capace di alimentare la nostra immaginazione consegnandoci, sotto un certo angolo visuale e attraverso la sua bellezza, la gioia di vivere. In fondo però nulla di male purchè si abbia il coraggio di voler cominciare da capo. Diceva Ford “il fallimento non è altro che la possibilità di ricominciare in una maniera più intelligente”.


lbuttinifilos@alice.it (Continua 9)


 




 

 

 

 

 
 
 
       

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