Cos'è
la Brianza
Dicembre 2008
Carlo Cattaneo, storico e uomo politico
lombardo fra i più importanti dell’800, nel 1836
descriveva la Brianza come un piccolo eden “sparso di colline
e laghetti” paragonabile per la sua bellezza ai colli di
“Fiesole o Sorrentini” ovvero i luoghi più
celebri e celebrati del tempo, meta irrinunciabile del colto turismo
straniero.
Sono passati circa 170 anni da allora, e il visitatore contemporaneo
che oggi percorre questa terra ammira un paesaggio diverso, frutto
dell’instancabile operosità umana: una fitta rete
di strade accoglie il turista che si trova a osservare una moltitudine
di ville e villette inframmezzate da numerose industrie e aziende.
Alla metà dell’ottocento l’illustre brianzolo
Cesare Cantù in molti scritti delimitava il territorio
della Brianza “fra il Lambro e l’Adda, i monti della
Valsassina e le ultime ondulazioni delle Prealpi che muoiono a
Usmate….”, Non dimenticando poi di descrivere le ricchezze
agricole, dove abbondano “vino, bozzoli, legumi e frutta”
i cui abitanti si danno all’agricoltura, o lavorano sui
telai o nelle grandi manifatture sparse un po’ d’ovunque.
Ma anche in Brianza non sono mancati momenti di povertà,
tensioni sociali, agitazioni contadine e operaie. Tutto il patrimonio
dolente ed esaltante della modernità passò anche
di qui, e produsse le sue conseguenze.
Ma non ci fu emigrazione di massa come nel mezzogiorno, né
banditismo, ne proletariato miserabile. Contadini, Operai, Artigiani,
Imprenditori, seppero darsi un’organizzazione, un ordine
e una coesione solidale, fin dalla seconda metà dell’ottocento.
Partiti e Sindacati trovarono terreno fertile ma non estremista,
e tanto meno violento. Non a caso Monza e la Brianza dissero no
al partito Nazionale Fascista alle elezioni del 1924; divenendo
poi centri attivi della resistenza e in questo territorio che
agì un eroe come Gianni Citterio, il “Clandestino
Diomede”. Il resto è storia di oggi con le sue luci
e le sue ombre.
Bisogna vivere in Brianza, giorno dopo giorno, respirare a pieni
polmoni la sua aria, la sua nebbia “scighera” e sentire
il ritmo quotidiano della sua vita per capire ed amare questa
terra, bisogna viverci per comprendere che pur essendo vicina
ad una metropoli intasata di traffico, percorsa da gente frettolosa
e preoccupata, costretta com’è dai limiti del “fare”,
dell’utile più che del bello, che i suoi abitanti
non hanno ancora perso la gioia di vivere.
Bisogna viverci in questo “giardino di Lombardia”
per accorgersi che esiste un modo diverso di affrontare la vita,
fatta, si, di cose concrete, di attività da portare avanti
e di benessere da raggiungere, ma aperta anche al gusto di ciò
che va al di là dell’immediato, e sa dare all’anima
un lungo e aperto respiro, frutto di gioia e di soddisfazione
profonda.
Bisogna viverci in Brianza per comprendere un fenomeno il “pendolarismo”
iniziato in sordina e cresciuto in pochi anni a dismisura. I pendolari
ogni mattina sbarcano a Milano come un “esercito”
che va all’attacco della città, sono individui di
ogni età, cultura, estrazione sociale, sciamano dalle stazioni
Centrale, Lambrate, Nord, Sesto San Giovanni e dalle corriere.
Si affrettano ad assalire i mezzi cittadini, trascorrendo in viaggio
giorni, mesi, anni di vita. Come un sasso gettato nello stagno
irradia i suoi cerchi, così, l’esercito dei pendolari
ogni giorno invade il tessuto urbano da una periferia all’altra,
sopraggiunge all’alba e si ritira a sera.
Bisogna vivere in Brianza dove si traffica e si corre, come la
vita moderna esige e comanda, per comprendere che è sufficiente
spalancare una finestra o fare qualche passo fuori dall’abitato,
verso i campi, verso le colline, verso un corso d’acqua
che scorre poco lontano, magari approfittando di una pausa di
lavoro, per non sentirsi più un automa, per capire che
la vita di un uomo non può essere vissuta degnamente senza
una dimensione anche contemplativa. E proprio questo, con la sua
bellezza la Brianza suggerisce e ricorda ogni giorno.
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