Malintesi
Dicembre 2008

Prendi ad esempio Paolo di Samosata, vescovo.
Personaggio carismatico, dotto. Parlava bene: nella sua chiesa,
ad Antiochia, si era fatto costruire per sé un alto pulpito.
Amava anche cantare durante le liturgie. Consapevole delle sue
doti, pretendeva di essere applaudito, riprendendo pubblicamente
in malo modo coloro che ascoltavano in silenzio (come d’altra
parte conveniva al luogo). Vanitoso, arrivò persino a fare
cantare le donne in suo onore, in chiesa, il giorno di Pasqua.
Il concilio di Antiochia del 268 trattò la faccenda e pose
fine alle esibizioni di sua Eccellenza, dato che in chiesa il
protagonista non è il celebrante, nemmeno se presuntuoso,
intonato e di bella presenza. Consensi e applausi poi, che c’entrano
in chiesa?
Appunto, perché oggi è invalsa la moda dell’applauso
in chiesa?
Che si tratti di prime comunioni, di matrimoni, anniversari di
matrimoni e di ordinazioni e feste varie, l’applauso ci
scappa, ci sta. C’è sempre qualcuno a iniziarlo e
qualcun altro a seguire, con premurosa accondiscendenza da parte
di Parroci pronti a fugare eventuali (e sacrosante) ritrosie,
quando addirittura non sono loro, i Parroci, a proporlo.
Si applaude addirittura ai funerali. L’ho visto in TV. Ma
questo almeno fuori dalla chiesa (spero), in piazza, laicamente.
Un amico scetticone mi domandava in proposito se, una volta, i
cristiani non erano soliti pregare per i defunti (Un Requiem!).
Non ho saputo che rispondere; tristemente ho condiviso l’osservazione,
pensando che evidentemente oggi il silenzio fa paura a credenti
e non (personalmente rimango dell’opinione che il silenzio
sia l’atteggiamento più decoroso, di tutto e di tutti,
di fronte alla morte, che nessun chiasso, e ancora meno mille
applausi possono esorcizzare).
Visto l’andazzo, rimaniamo in attesa dell’introduzione,
anche nelle nostre liturgie, della standing ovation con allegati
inchini e sorrisi («Troppo buoni! Ma vi pare! Non è
il caso!») da parte dei “protagonisti” di turno.
Anche in questo consiste, pare, il rinnovamento liturgico, in
ottemperanza all’invito conciliare dell’enciclica
Sacrosanctum Concilium, la quale al n° 11 auspica per le liturgie
una «partecipazione attiva, consapevole e efficace».
Il resto sembra doversi individuare nelle omelie domanda-risposta
ormai adottate da solerti parroci per i loro vispi scolaretti;
nelle noiose processioni offertoriali dove, alla fin fine, dico
io, qualcuno porterà bene anche pane e vino; nei teatrini
di bambini impacciati (con relativi genitori e nonni gaudenti),
improvvisati nella liturgia a mò di stacchetto da fantasiosi
catechisti; nell’ingombrante (e sgraziata) cartellonistica
da festa paesana, che nelle intenzioni vorrebbe dare forza (!)
all’annuncio del Vangelo; negli scambi della pace va-e-vieni;
fino al brioso frullare di braccia e mani, con annessi foglietti,
al canto del Santo. D’altra parte bisogna pur tenere desta
l’attenzione dei partecipanti alla liturgia, anche se ormai
sembra più corretto parlare di intrattenimento: mancano
le interviste, a sorpresa, ma qualcuno ci sta già pensando.
Mamma TV docet.
Dato che il disagio non manca, i malintesi sembrano molti, e
la riflessione poca. Qualcosa su cui riflettere c’è.
Riguardo alla «partecipazione attiva, consapevole e efficace»
auspicata dal n. 11 della Sacrosanctum Concilium, l’Esortazione
Apostolica Sacramentum Caritatis, al n° 52, nel richiamare
che il senso di tale partecipazione non può consistere
in qualche «semplice attività esterna durante la
celebrazione», parla esplicitamente di «incomprensioni».
«In realtà, - precisa - l’attiva partecipazione
auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più
sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza
del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza
quotidiana». Senza giri di parole si constata come, a oltre
quarant’anni dal Concilio, non siano stati raggiunti i risultati
“auspicati” circa il recupero di consapevolezza dei
partecipanti alle liturgie cristiane.
Il card. Ratzinger, in un lucido libretto titolato Introduzione
allo spirito della liturgia, edito nel 2001, annota come «La
vera educazione liturgica non può consistere nell’apprendimento
e nell’esercizio di attività esteriori», osservando,
tra l’altro, come «Là, dove irrompe l’applauso
per l’opera umana nella liturgia, si è di fronte
a un segno sicuro che si è del tutto perduta l’essenza
della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento
a sfondo religioso... La liturgia può attirare le persone
solo se non guarda a se stessa, ma a Dio».
Già, anche Paolo di Samosata aveva malinteso.
«A questo riguardo - conclude il card. Ratzinger - l’educazione
liturgica di sacerdoti e laici è oggi deficitaria in misura
assai triste. Qui resta molto da fare».
Beatissimo Padre, non può immaginare quanto le siamo vicini!
E’ che, sul “molto da fare”, ognuno ha già
del suo...
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