Il
codice
Febbraio 2006
di Massimo Introvigne
E’
uscito un bel romanzo in cui si afferma che il Buddha, dopo l’illuminazione,
non ha condotto la vita di castità che gli si attribuisce,
ma ha avuto moglie e figli. Che la comunità buddhista dopo
la sua morte ha violato i diritti della moglie, che avrebbe dovuto
essere la sua erede. Che per nascondere questa verità i
buddhisti nel corso della loro storia hanno assassinato milioni
di persone. Che un santo buddhista morto da qualche anno Daisetz
Teitaro Suzuki (1870-1966) era in realtà il capo di una
banda di delinquenti. Che il Dalai Lama e altre autorità
del buddhismo internazionale operano per mantenere le menzogne
sul Buddha servendosi di qualunque mezzo, compreso l’omicidio.
Il romanzo non è passato inosservato, e le autorità
di tutte le religioni lo stanno denunciando come un’odiosa
mistificazione anti-buddhista e un incitamento allo scontro fra
le religioni. In diversi paesi la sua pubblicazione è addirittura
vietata, fra gli applausi della stampa. Le case cinematografiche,
cui è proposta una versione per il grande schermo, hanno
cacciano a pedate l’autore e considerano l’intero
progetto uno scherzo di cattivo gusto. Lo scenario non è
vero, ma ce n’è uno simile che è del tutto
reale. Solo che non si parla di Buddha, ma di Gesù Cristo;
non della comunità buddhista, ma della Chiesa cattolica;
non di Suzuki e del suo ordine zen ma di san Josemaría
Escrivá (1902-1975) e dell’Opus Dei da lui fondata;
non del Dalai Lama ma di Papa Giovanni Paolo II.
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