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Giuseppe Parini: il poeta bistrattato (parte terza)

Febbraio 2006

Nel mese di gennaio abbiamo lasciato Giuseppe Parini, novello sacerdote, a muovere i primi passi in quello che potremmo definire parterre de roi della letteratura milanese del ‘700. Il 20 agosto del 1753 il poeta bosisiese venne accolto nell’Accademia dei Trasformati. I membri dell’Accademia si ritrovavano allo scopo di leggere prose e poesie, ma anche di portare avanti un impegno morale e civile. In altre parole si trattava di deridere i difetti degli uomini e di biasimare i loro vizi. Questo tipo di critica o satira sociale costituiva un vero e proprio paradiso per Parini visto gran parte della sua produzione letteraria fonda le sue radici proprio sullo sberleffo a danno della nobiltà dell’epoca. A tal proposito, bisogna però fare una precisazione. Il poeta bosisiese è passato alla storia come colui che sferzava la nobiltà senza tanto riguardo, quasi provasse del “risentimento” nei confronti di questi signorotti. In realtà Parini non era contro il concetto di nobiltà, ma piuttosto contro la mollezza dei costumi che caratterizzava questo ceto sociale. Si tenga presente il fatto che la nobiltà non rappresentava unicamente un insieme di gente ricca, ma anche la classe politica di allora; ed è proprio questo che non andava giù al poeta: queste persone, pur nel loro status privilegiato, avevano anche “l’obbligo” di pensare alla vita pubblica e non solo di passare da un pranzo luculliano a una cena pantagruelica. Tra i Trasformati Parini incontra persone del calibro di Baretti, Balestrieri e Tanzi e insieme a questi insigni letterati leggeva poesie e prose, ma trattava anche temi di altra natura; legati alle lettere, ma anche si altro genere quale, ad esempio, l’agricoltura. Le tematiche trattate all’Accademia vengono riversate pari pari nella poetica pariniana. Si pensi ad esempio a “La salubrità dell’aria” o “La vita rustica”. Una particolarità caratterizza l’Accademia dei Trasformati e in un certo qual modo la nobilita: nel gruppo dei letterari, infatti, entravano a far parte personaggi illustri, dame e prelati di alto lignaggio, ma anche persone provenienti da ceti sociali “minori”; come ad esempio lo stesso Parini. Questi significa che l’Accademia appianava le disparità sociali che, in caso contrario, non avrebbero consentito a queste persone di incontrarsi e ragionare insieme. Con una piccola iperbole si potrebbe dire che i Trasformati rappresentavano una sorta di “Comunismo letterario”; dove la parola “comunismo” è da intendersi in senso stretto. Certo il gruppo di letterati è interessante e stimolante, tuttavia non si vive di nobili ideali per cui il poeta bosisiese deve anche sbarcare il lunario. “Lavoriamo per la fabbrica della fame!” diceva Zampanò ne “La strada”. E così, nel 1754 Parini entrerà, in qualità di precettore in casa Serbelloni. Deve impartire lezioni ai figli dl duca Gabrio e della moglie Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni. Il rapporto con i Serbelloni si interromperà otto anni dopo e anche in questo caso il poeta è protagonista di un aneddoto. All’epoca Parini era ospiti della duchessa a Gorgonzola e intervenne per prendere le difese della figlia del musicista Giuseppe Sammartini. La giovane pretendeva di andare a Milano e la duchessa, in un impeto d’ira la schiaffeggiò. In seguito a quel fatto Parini si allontanò dalla famiglia Serbelloni, ma mantenne comunque buoni rapporti con la duchessa. In quegli stessi anni prendono il via anche le polemiche letterarie. A fronteggiarsi sulle due rive opposte c’erano padre Alessandro Bandiera e Giuseppe Parini. Argomento del contendere era il dialetto. Padre Branda, intendendo essere offensivo nei confronti di Parini lo definiva “Milanese di Bosisio”. Il titolo, però, non scalfisce minimamente la corazza del poeta che, al contrario, si ritiene orgoglioso di essere estraneo al malcostume che imperversa nella città. Provenendo lui da fuori, dalla campagna, può ergersi a giudice della dissolutezza cittadina. A questo si aggiunga anche il fatto che Parini è sempre orgoglioso della sua campagna e in più di un componimento esalta la bellezza della natura brianzola, il vigore dei contadini e la floridezza delle donne della Brianza. Nelle sue opere celebrò anche il “Vago Éupili” (oggi lago di Pusiano), anche se lo specchio lacustre non rievoca solamente bei ricordi ma anche una tragedia occorsa alla sorella annegata in seguito al ribaltamento della barca che la conduceva da Bosisio verso Pusiano. Nel frattempo Parini legge all’Accademia dei Trasformati alcune sue opere, tra le quali va segnalato il “Dialogo sopra la nobiltà”. Si tratta di uno spassoso dialogo che prende il via da una situazione macabra per trasformarsi in un acceso dialogo tra un nobile è un poeta. I due vengono sepolti fianco a fianco e per qualche strano arcano hanno ancora la facoltà di parlare, nonostante la loro dipartita. Inizialmente il nobile prende le distanze dal “plebeo”, ma nel dipanarsi del dialogo la presunta grandezza del nobile viene smontata pezzo a pezzo dal poeta che alla fine convincerà il patrizio che la tanto ostentata superiorità di cui va cianciando ha delle ben misere fondamenta. Pur scagliandosi contro la dissolutezza milanese Parini non disdegna certo le opportunità che la città gli offriva. Il poeta era infatti amante del teatro e attraverso questa sua passione conobbe, nel 1758-1759 Caterina Gabrielli, cantante che si esibì a Milano in varie occasioni e alla bellezza della cantante dedicò ben due sonetti. La diatriba letteraria con padre Branda non era ancora terminata e questi pubblicò i suoi “Dialoghi della lingua toscana”, nei quali attaccava duramente i milanesi e la loro lingua, lanciandosi invece in una lode sperticata della lingua toscana. Parini non resta certo a guardare e ancora una volta interviene prendendo le difese del dialetto. Il poeta bosisiese concorda con la validità della lingua toscana definita: “lingua nobile e comune”, tuttavia disdegna l’eccessivo culto della toscanità. Padre Branda, a sua volta, fece degli ingenerosi apprezzamenti nei confronti delle donne milanesi e dei loro costumi. In questa maniera si innescò una violenta polemica fatta da opuscoli scritti a favore o contro Padre Branda e si arrivò al punto tale che dovettero intervenire le autorità che attraverso il Tribunale di cancelleria posero fine alla diatriba vietandola. A questo punto lasciamo Parini ai suoi litigi letterari con padre Branda e abbandoniamo il ‘700 per tornare ai giorni nostri. Come si fa’ con un videoregistratore premiamo il tasto “Pausa” e lasciamo il poeta Bosisiese con il braccio sospeso a mezz’aria, il dito accusatore puntato in direzione di Padre Branda, e lo sguardo arcigno. Lo ritroveremo il mese prossimo. Basterà premere il tasto “Play” per far ripartire il nostro videoregistratore storico.

 
 
 
       

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