
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Febbraio 2007
L’ETICA SPORTIVA (prima parte)
Il programma di questa rubrica era di affrontare
prima il tema “Che cosa è la filosofia” per
parlare poi dell’etica in generale e, quindi, dell’etica
applicata (etica sportiva, bioetica, etica degli affari, delle
differenze sessuali, della comunicazione interculturale,ecc).
Sulla spinta degli eventi inverto l’ordine e ritengo più
opportuno iniziare con l’etica sportiva.
Lo storico latino Tacito nei suoi “Annali” ci fa conoscere
un avvenimento che ebbe luogo nel 59 d.C.: una partita di “palla”
disputata nello stadio di Pompei tra la locale squadra pompeiana
e quella nocerina, un vero e proprio “derby” dell’antichità.
Tale episodio ci è stato tramandato anche da una iscrizione
venuta alla luce con gli scavi di quella città vesuviana.
Come finì questo incontro? Il risultato del campo non ci
è stato dato di saperlo, però ci viene riferito
che tra le opposte tifoserie si passò, in un breve lasso
di tempo, da un iniziale scambio di insulti ad una fitta sassaiola
fino al punto in cui fecero la loro comparsa i coltelli, tanto
che alla fine si annoverarono numerosi morti e feriti tra queste
opposte tifoserie “ultras” dell’antichità.
Contemporaneo di tale evento era il filosofo stoico romano, di
origine spagnola, Seneca il quale ebbe il coraggio di biasimare
molti giovani sfaccendati perché avevano fatto del gioco
della palla l’unica valida ragione della loro vita.
In epoca rinascimentale a Firenze si giocava il c.d. “calcio
fiorentino”, lontano parente di quello attuale, che era
molto diffuso anche in città quali Bologna, Padova, Venezia,
ecc. Esso però venne proibito in molti altri centri in
quanto considerato “troppo violento”. Anche le autorità
politiche fiorentine si videro costrette nel 1580 ad emanare una
“grida” che sanciva il divieto di praticarlo perché
tale competizione sportiva degenerava facilmente in “risse,
scandali et inimicitie”. Il genio di Leonardo, che tra le
altre cose aveva trovato il tempo di ideare un pallone realizzato
“con pelli di animali, rimbalzante e sfuggente e tale da
corrergli dietro”, focalizzò la sua attenzione non
tanto e non solo su quelli che erano gli aspetti tecnici del gioco
ma soprattutto sulle reazioni degli spettatori e dei giocatori
che potevano a tal punto essere presi dal gioco da parteciparvi
“con urla, stridori e bestemmie”. Per usare una frase
abusata “niente di nuovo sotto il sole”. Nell’arco
di pochi giorni siamo passati dalla morte di un dirigente di una
squadra di calcio di terza categoria, cioè la minima dimensione
del calcio, all’omicidio di un ispettore di Polizia avvenuta
al termine del derby siciliano tra il Catania ed il Palermo, militanti
nella massima divisione.Cosa fare perchè il calcio non
rimanga più quella zona franca in cui domina il senso dell’
impunità e dove perciò tutto sembra essere permesso,
ove impera l’anarchia e l’assenza di regole e di comportamenti
virtuosi e dove l’etica sembra essersi definitivamente eclissata?
Cosa fare per dare speranza a questo mondo del calcio così
malato come testimoniato da un succedersi di eventi che stridono
con la benché minima deontologia sportiva: calciopoli,
il doping farmaceutico e quello amministrativo, le false fideiussioni,
i ripetuti e impuniti falsi in bilancio, gli stadi inadeguati
e non a norma, il rifiuto sistematico di ogni civile convivenza?
Occorrerebbe coltivare quelli che S.Agostino aveva definito i
due figli, entrambi belli, della speranza: lo sdegno ed il coraggio,
sdegno per le cose per come esse si presentano e coraggio, invece,
nel volerle veramente cambiare, voltando definitivamente pagina.
Qual’è la verità? Certo al verificarsi di
situazioni così orribili lo sdegno si leva alto, viene
manifestato in ogni sede istituzionale o meno, ma poi vediamo
che tale atteggiamento dura appena lo spazio di un mattino e finiscono
per prevalere subito dopo altri interessi per cui lo spettacolo
deve “necessariamente” continuare al dichiarato scopo
di evitare “guai peggiori”. Come si vede siamo al
più trito “panem et circenses”, espressione
latina con la quale si voleva indicare l’appagamento e perciò
lo “stordimento” delle masse per distrarle da altri
problemi che potevano mettere in difficoltà il potere costituito.
Anche a seguito della tragica morte dell’ispettore Raciti
si è deciso di sospendere i campionati: inizialmente a
tempo indeterminato, ma subito dopo si è obiettato che
questa misura costituiva una sconfitta ed un cedimento delle persone
oneste nei riguardi dei violenti ed in ogni caso non avrebbe sortito
alcun effetto perché alla ripresa tutto sarebbe ritornato
come prima e perciò si optava per una sospensione di due
settimane, poi per una soltanto con la previsione di far disputare
le gare a porte chiuse in quegli stadi non in regola con il “Decreto
Pisanu”. Manca, in effetti, il coraggio di voler cambiare
veramente le cose, di voltare pagina in questo mondo che, in termini
di sociologia spicciola, dovrebbe essere di aggregazione sociale,
in questo mondo ove, invece, l’odio è la normalità
e la violenza il suo strumento. Non so se Camus al giorno d’oggi
direbbe ancora “Tutto quello che so della vita l’ho
imparato dal calcio”
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