GIUSEPPE
PARINI: IL POETA BISTRATTATO
(ULTIMA PARTE)
Febbraio 2007
di Eros Baseotto

Non so se i miei tre lettori (perdonatemi
la citazione manzoniana rivista al ribasso) ricorderanno che l’intento
con il quale mi accinsi a scrivere questa serie di articoli era
quello di riabilitare la figura di Parini, poeta decisamente poco
amato dal grande pubblico. Ora siamo giunti all’ultima puntata
di questa biografia informale e qui termina anche il cammino fatto
in compagnia di quello che ormai possiamo considerare un “vecchio
amico”. Bando alle malinconie e affrontiamo invece quest’ultima
puntata delle vicende del poeta bosisiese. Il periodo della vita
di Parini che ci accingiamo ad esaminare fu caratterizzata dalla
scrittura delle ultime grandi odi e a tal proposito possiamo ricordare
“La gratitudine”; ode indirizzata al cardinale Angelo
Maria Durini, grande estimatore di Parini. Questa ode è,
per la verità, piuttosto prolissa e denota una certa mancanza
di ispirazione, tuttavia al cardinale piacque. Nell’ottobre
di quello stesso anno il nostro poeta venne insignito della carica
di soprintendente delle scuole pubbliche di Brera; incarico che
comportava certo un gran prestigio, ma anche una maggiorazione
di quattromila lire nel salario annuo. L’anno successivo,
dietro richiesta dello stesso Parini, gli venne assegnato un appartamento
più grande e confortevole. Per sollecitare questa nuova
sistemazione il poeta scrisse una missiva indirizzata al ministro
Wilzeck. Nella lettera si legge: «Eccellenza, l’umilissimo
servitore di Vostra Eccellenza, il professore Parini, trovasi
già da più di un mese obbligato continuamente a
letto per incomodo di podagra. In tale situazione sente più
che mai la necessità di avere qualche stanza in più
delle quattro, che ora gode, massime per tenere presso di sè
il domestico che lo assista. Altronde si risovviene con sentimenti
di riconoscenza dell’umilissima disposizione mostratagli
da Vostra Eccellenza per fargli assegnare questo comodo ulteriore.
Quindi ardisce di supplicare la medesima Eccellenza Vostra che
si degni di commettere al signor conte Pertusani, che visiti e
concerti ciò che sarà opportuno, affine di accrescere
qualche stanza al Parini, senza ingiuria di verun altro, che abiti
legalmente in Brera» Nel 1793 Parini scrisse “Il messaggio”:
ode nella quale compare il nome arcadico di Nice, sotto le cui
mentite spoglie si cela la contessa Maria di Castelbarco. Come
abbiamo visto nelle scorse puntate l’ode fornisce al poeta
il mezzo con il quale trasmettere alla nobildonna i suoi sentimenti
in maniera più o meno velata. «L’inclita Nice
è supplicata di riconoscere, sotto la forma poetica de’
seguenti versi, i veri sentimenti da cui provengono, cioè
il rispetto e la ricoscenza dell’autore per l’esimie
qualità di Lei, e per la singolare benignità con
cui Ella si degna di onorarlo» L’etichetta vuole che
le parole di Parini nascondano i suoi veri sentimenti. Si tenga
però presente che al momento in cui l’ode venne scritta
il poeta aveva sessantaquattro anni, mentre la contessa ne aveva
trenta di meno. Parini è ben conscio di questa differenza
di età e questo è dimostrato dallo stile garbato
con il quale l’ode è stata stilata. In quello stesso
anno Parini scriverà anche un sonetto; questa volta dedicato
a Teresa Bandettini Landucci, mentre sembra lasciar perdere la
sua idea di “poner fine al giorno” come si recita
ne “La caduta”. Il motivo di questa sua rinuncia è
semplice: Parini ritiene quasi pleonastica la sua invettiva nei
confronti di una classe sociale che è ormai inesorabilmente
destinata a estinguersi. Il 1796 vide l’ingresso di Napoleone
a Milano e il 24 maggio di quello stesso anno il poeta bosisiese
venne chiamato a far parte della municipalità milanese.
Dunque l’impegno sociale continua e il poeta prende parte
al nuovo ordinamento sociale voluto dal condottiero corso e pur
non condividendo l’ideologia di Bonaparte si impegnò,
come viene testimoniato da Pietro Verri, nel terzo comitato della
municipalità cittadina. Parini è dunque collaborativo,
ma certo non ha perso la sua verve polemica e spesso interviene
nell’ambito delle sedute con uscite che possono, a dir poco,
definirsi ardite. Come talvolta accade chi dice la verità
diventa “antipatico” per chi sta al potere e Parini
venne qunidi allontanato insieme ad alcuni altri municipalisti
definiti “ribelli”. L’avventura napoleonica
del bosisiese durò solo due mesi e diciassette giorni;
per i quali percepì milleventisei lire che fece distribuire
segretamente ai poveri. In seguito Parini non accettò più
incarichi ufficiali, dedicandosi unicamente agli amati studi e
all’insegnamento. Ancora una volta viene fuori la grande
coerenza del poeta! Con l’aumentare degli anni la salute
del poeta peggiorò. Alla debolezza di gambe si aggiunsero
anche altri acciacchi, tra cui una cataratta mal operata che gli
causò la cecità di un occhio e compromise la funzionalità
dell’altro. I medici gli consigliarono la campagna, ma dopo
un solo mese di soggiorno ad Arluno fece ritorno a Milano. Ormai
si muoveva pochissimo a causa dei molti acciacchi che lo costringevano
a stare in casa. La mattina del quindici agosto 1799 dettò
all’amico Paolo Brambilla il sonetto “Predaro i Filistei
l’Arca di Dio” che poi volle ritoccare e copiare da
sé. Dopo la stesura del sonetto fu visitato da Febo D’Adda,
Angelo Vecchi, Angelo Airoldi e dal medico Giacomo Locatelli.
Alle quattordici congedò gli amici Febo D’Adda e
Angelo Vecchi; si fece accompagnare dal domestico verso la finestra.
Passeggiò da una stanza all’altra e poi tornò
a letto.Come dicono le cronache dell’epoca, mentre veniva
svestito gli si torse la bocca e non parlò più.
Dopo un quarto d’ora morì alla presenza del parroco,
del servitore, del portinaio e della portinaia.
La morte di Parini segna anche la fine di questa serie di articoli
a lui dedicati. Nella speranza di non aver annoiato coloro che
hanno avuto la benevolenza di volerli leggere segnalo le preziosi
fonti dalle quali ho attinto le informazioni necessarie per la
stesura di questi articoli. “Vita di Giuseppe Parini”
– Francesco Reina “Giuseppe Parini (biografia)”
– Ferdinando Cesare Farra “Parini e le feste di Milano”
– Paolo Bartesaghi Parini il milanese di Bosisio. Piece
teatrale scritta dal professor Paolo Bartesaghi e messa in scena
dalla compagnia teatrale Briciole di teatro nel 1999. Prima di
chiudere questo articolo voglio proporvi un nuovo argomento da
sviluppare nei prossimi numeri de “la goccia”: che
ne dite di rispolverare usi e costumi che hanno caratterizzato
la Brianza di… una volta?
Magari potremmo intitolare questa nuovi pezzi: “C’era
una volta il Brianza”!
Eros Baseotto
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