Campi
di sterminio e fosse comuni
Febbraio 2008
Nel nuovo numero della rivista «La
Nuova Europa», Lidija Golovkova (Università Ortodossa
Umanistica di Mosca) presenta alcuni materiali inediti frutto
di un ventennale lavoro di ricerca, per riportare alla luce i
nomi e i volti delle vittime del terrore.

Il terrore veniva esercitato ovunque, paradossalmente nei luoghi
più visibili (perfino nel centro di grandi città
come Mosca o Leningrado), o in chiese e monasteri, spesso utilizzati
come prigioni o come poligoni di fucilazione. Tutti questi luoghi,
così come le fosse comuni, erano stati poi dimenticati
o volutamente cancellati: vengono ora ritrovati, e torniamo a
conoscerne il nome (Butovo, Kommunarka, Suchanovka…); qui
si torturava e si fucilava, in genere senza alcun processo (sulla
base di semplici ordini amministrativi, seguendo la cosiddetta
«procedura speciale»). Lidija Golovkova e un gruppo
di studiosi di associazioni come «Memorial» stanno
portando avanti un progetto per identificare le vittime del terrore,
stabilire in quali fosse comuni riposano e ricostruirne le vicende
personali. L’intervento della Golovkova mette in luce anche
alcune scioccanti realtà: che i sovietici hanno anticipato
tecniche poi applicate dai nazisti (come l’uso del gas di
scappamento dei camion per eliminare i prigionieri); che i prigionieri
handicappati, o ritenuti inabili al lavoro forzato, venivano eliminati:
«In questi casi si cominciò a condannare indiscriminatamente
a morte, a prescindere dai capi d’imputazione, applicando
in fondo la stessa politica che sarebbe stata ripresa dal nazismo
con la pratica dell’eutanasia di massa nei riguardi delle
“esistenze senza valore”. Per lo stesso motivo in
Urss, nei decenni precedenti, la polizia segreta aveva già
ucciso mutilati, sordomuti, anziani». Un’altra verità
sconosciuta è che, diversamente da quanto si pensa, «il
terrore non è da addebitare esclusivamente a Stalin ma
è nato con la stessa Rivoluzione»: i primi campi
di concentramento furono aperti a Mosca nel 1918, nei monasteri
di San Giovanni, di Andronico e del Salvatore Nuovo. Tra il 1918
e il 1922, sempre a Mosca, furono organizzati 11 lager di vario
tipo.
Materiali fotografici inediti
L’intervento della Golovkova è accompagnato da immagini
impressionanti: prigioni di Mosca sconosciute agli stessi moscoviti,
elenchi di nomi dattiloscritti (e spuntati una volta avvenuta
la fucilazione), i volti dei torturatori e le fosse comuni dove
giacciono migliaia di cadaveri in parte ancora anonimi: «Abbiamo
raccolto gli incartamenti relativi a 30 mila sacerdoti perseguitati
e uccisi dal potere sovietico. Guardando le loro foto segnaletiche,
terribili eppure bellissime, si ha l’impressione di trovarsi
di fronte a icone di moderni martiri».
I numeri della memoria
Dal 1937 all’autunno 1938, durante la cosiddetta «era
di Ezov», i condannati – secondo un conteggio verosimilmente
inferiore ai dati reali – furono 681.692; lo stesso Ezov,
rapidamente caduto in disgrazia, fu giustiziato a sua volta nel
febbraio 1940. Nel solo poligono di Butovo (alla periferia di
Mosca), ribattezzato «Golgota russo», morirono e furono
sepolte decine di migliaia di persone, finora identificate appena
in parte. Fino a oggi sono stati catalogati almeno 800 punti di
morte immediata in tutta la Russia, ma solo in pochissimi casi
è stato possibile fare qualcosa per conservarne la memoria.
www.russiacristiana.org/ne1_2008/indice1_08.html
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