Giornale della Brianza
"Un giornale scritto dai propri lettori ..."
Direttore: Giovanni Marcucci

  Sezioni  
 


PRIMA PAGINA
Politica
Cronaca
Sport
Economia
Curiosità
Associazioni
Approfondimenti
Tempo libero
Cultura e Arte
Ambiente

 
  La Goccia ...  
 
del direttore
che fa traboccare il vaso
collegio 10
dal futuro
del lago di Pusiano
dal web

di evasione

di filosofia
di giustizia
di salute
di sapore
di sudore
di umorismo
di vino
d'oriente
iridata
sullo spartito
a quattro zampe


 
  Le altre pagine  
 
I links

Numeri utili
 
 
 

Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Gennaio 2006

MITO E FILOSOFIA

Con la nascita della filosofia si aprì uno spazio che, al pari di quello fisico che permette e condiziona ogni movimento, ha consentito e indirizzato lo sviluppo della nostra civiltà, considerata nella sua globalità come l’insieme delle manifestazioni religiose, artistiche, socio-politiche, economiche. Questo sviluppo, pur progredendo lungo il suo percorso storico, ha conservato inalterati i tratti fondamentali che erano stati tracciati fin dal suo primo apparire. Severino, riprendendo Heidegger, ha detto che “la filosofia è nata grande” in quanto i suoi primi passi non sono stati un preambolo incerto ad un successivo sviluppo del pensiero, ma procedevano con speditezza lungo la strada che si era aperta.
Con la filosofia l’esistenza umana non poggiò più sul mito e l’uomo si rivolse alla totalità delle cose perché voleva cogliere un sapere assoluto, incondizionato, incontrovertibile e che fosse tale non perché l’uomo vi prestava fede, ma perché questo sapere aveva in se stesso la possibilità di relegare in un angolo ciò che gli si opponeva. Per indicare questo sapere non furono coniate nuove parole ma si utilizzarono quelle già in uso nella lingua greca e cioè: sophia (sapere), logos (ragione), aletheia (verità), episteme (scienza), le quali non riescono a reggere compiutamente il peso del loro significato e ci dicono poco se non le compariamo, come vuole Severino, con il “loro significato inaudito”.
Letteralmente filosofia è amore del sapere, ma “sophia” contiene in sé la radice del verbo “phao” (illumino) e, quindi, il sapere è qualcosa che viene alla luce e si manifesta in maniera chiara, incontrovertibile, non-negabile.
Esaminando poi etimologicamente la parola “aletheia” ci imbattiamo in un’alfa privativa e nella radice del verbo “lanthano” (rimango nascosto, mi celo) e anche qui siamo di fronte al non essere nascosto: la verità è qualcosa di così evidente che non può essere messa in ombra.
Prima della filosofia l’uomo si rivolgeva al mito per trovare risposte ai suoi eterni perché, ma erano insoddisfacenti, non chiarivano il senso globale del nostro esistere e non spiegavano la coscienza della nostra finitezza e del perché, come dirà in tempi moderni Heidegger, il nostro è “essere-per-la-morte”.
Eppure il mito, che oggi significa “favola” “leggenda”, originariamente aveva la valenza di “parola”, “annuncio”, quasi una verità religiosa che gli dei avevano imposto agli uomini.
Secondo la mitologia greca tutte le cose si generavano dal “chaos” che rappresentava l’immensità dello spazio originario, l’incommensurabile apertura.
In greco “chaos” non significava “confusione” “disordine” bensì “spazio vuoto e immenso” “immensa apertura” “baratro” “voragine” “abisso”. In “chaos” vi è la radice indoeuropea “gha” da cui il verbo greco “chasco” (“mi apro” “mi spalanco”) e quelli latini “hio” e “hisco”, con lo stesso significato che in greco. Tutti questi verbi indicano pure lo “stare a bocca aperta”(su questo torneremo in seguito quando parleremo della meraviglia come causa della filosofia).
Dall’abisso originario del “chaos” emergeva il “kosmos” (“ordine”, “mondo” o “universo”) e che rappresentava l’insieme ordinato degli avvenimenti e di tutte le cose, e il “chronos”, tempo e padre di tutti gli dei.
Questo abisso primordiale, con una dimensione incalcolabile, perché dalle sue viscere nascevano tutti i mondi e gli stessi dei, rappresentò la dimensione più ampia che il mito riuscì a conquistare, ma non riusciva ad avere il significato filosofico di “tutto” perché non trovava in se stesso la ragione per escludere che oltre non ci fosse un qualcosa d’altro. La filosofia, invece, colse concettualmente il “tutto” rivelandone l’intima connessione con la verità. Solo giungendo agli estremi confini del tutto possiamo incontrare la verità perché, come ha detto Severino, se mi rivolgo solo ad una parte del tutto ritenendo che questa contenga la verità innegabile, possono irrompere sulla scena altre parti di quel tutto e smentirla. Dei tre caratteri che, come abbiamo visto nel precedente articolo, contraddistinguono la filosofia:
- rivolgersi alla realtà globalmente intesa;
- essere una spiegazione razionale di questa realtà;
- mirare alla conoscenza pura, scevra da ogni utilità pratica, il mito contiene, entro certi limiti, solo il primo ed il terzo, essendo del tutto privo del secondo che è quello più decisivo: non riesce a varcare i confini del racconto fantastico per attingere la sfera razionale. Aristotele nella Metafisica disse che anche l’amante del mito è in un certo qual modo un filosofo, ma voleva significare che pure il mito è originato da un bisogno di sapere privo di finalità pratica, però resta sempre tale e cioè solo un lontano parente della filosofia la quale, al suo sorgere, già con Talete, come abbiamo visto, si affiderà in maniera esclusiva alla pura ragione.
lbuttinifilos@aliceposta.it

 
 
 
       

La Goccia Briantea è un periodico mensile di informazione, politica,
cultura, spettacolo, umorismo e associazionismo.
Il sito, ottimizzato per versioni di INTERNET Explorer e NETSCAPE superiori alla 4.0,
è gestito dall'Associazione "La Goccia" (Rogeno - LC)