Giuseppe
Parini: il poeta bistrattato (seconda parte)
Gennaio 2006
di Eros Baseotto
Nel numero di dicembre de “La Goccia
Briantea” abbiamo fatto la conoscenza con Giuseppe Parini.
Si è parlato della sua nascita e della sua infanzia trascorsa
a Bosisio. Ci siamo, infine, lasciati salutando il piccolo Giuseppe
che, all’età di dieci anni, partiva alla volta di
Milano. Ancora una volta le vicende del poeta costituiscono per
noi motivo di sorpresa. Ai giorni nostri, quando anche per fare
poche centinaia di metri è “necessario” utilizzare
l’automobile, l’idea di percorrere lunghi tratti camminando
è addirittura inconcepibile. Ebbene: Parini in quell’occasione
coprì l’intero tragitto che separa Bosisio da Milano
proprio a piedi. L’episodio, in realtà, risulta piuttosto
insolito anche per il poeta bosisiese poiché come dice
Francesco Reina, suo biografo, già all’età
di ventun’anni cominciò a soffrire di una malattia
alle gambe che lo accompagnerà per tutto il resto della
sua vita. «Una strana debolezza di muscoli lo aveva renduto
dalla nascita gracile e cagionevole; ma la sua prima giovinezza
piena di brio, e di alacrità, non risentissi punto di quegl’incomodi,
che tanto grave gli rendettero la virilità, e la vecchiaja.
A ventun anno soffrì egli una violenta stiracchiatura di
muscoli, e una maggiore debolezza; perloché gambe, cosce,
e braccia cominciarongli a mancar d’alimento, ad estenuarsi,
e a perdere la snellezza, e la forza sì necessari agli
uffizj loro».
da “Vita di Giuseppe Parini” – Francesco Reina
Come si evince dal passo stralciato dalla
biografia di Francesco Reina il poeta appariva gracile e di salute
cagionevole già alla sua nascita. Un altro riferimento
alla sua condizione può essere letto in un articolo pubblicato
nel 1836 sul periodico “L’Album”. L’autore
in occasione della visita alla casa natale del poeta bosisiese
scrisse: «Egli è nato colà - mi dissero. Poco
più d’un secolo fa’, il 22 maggio 1729, una
donna passava per quella porta tenendo sulle braccia un gramo
neonato; essa scendeva per la china verso la chiesa, sul limitare
della quale la riceveva il prete, che dopo le prime preci del
rito, lì presso il fonte battesimale, al buon vilico che
gli era padrino, domandò il nome da imporsi. Giuseppe,
soggiunge questi rozzamente; e il prete terminava la cerimonia
pronunciando le parole sacramentali, dopo di che scriveva il nome
di Giuseppe Parini negli atti battesimali.» In ogni caso
Parini giunse nella città di Milano. Già allora
si trattava di una metropoli e sarà apparsa ancora più
grande a un bambino che proveniva da un piccolo paesino dell’alta
Brianza. Certo, agli occhi di tutti, si presentava come una città
di forte interesse culturale. La “tirannica” guida
illuminata di Maria Teresa d’Austria, infatti, fece fiorire
l’impegno culturale e civile nel capoluogo lombardo.
Il paesaggio della Milano del ‘700 costituisce dunque lo
scenario in cui si svolgono le vicende del nostro poeta. Una volta
giunto a Milano il bambino fu ospite di una vecchia prozia, sorella
del nonno paterno. Si trattava di Anna Maria Parino che, morendo
nel 1740, lasciò un testamento con in quale istituì
un beneficio a favore del giovane nipote a patto però che
questi si facesse sacerdote. Fino a qui non ci sarebbe niente
di strano se si considera il periodo di cui stiamo parlando tuttavia
c’è un fatto degno di nota che costituisce una nuova
stranezza nella vita di Parini. Oltre al piccolo beneficio, di
cui già si è detto, la prozia lasciò al nipote
anche alcune suppellettili e… cosa piuttosto singolare un
materasso «a sua scelta». Sarebbe interessante capire
quale possa essere stata l’importanza di tale lascito nel
‘700, ma questo esula dalla nostra storia! In quello stesso
anno anche i genitori del giovane Giuseppe giunsero a Milano e
la famiglia visse in una casa situata in via Pantano. Il 1740
è anche l’anno che vede l’iscrizione di Parini
alle scuole Sant’Alessandro; meglio note come “Scuole
Arcimbolde”. Da un letterato di quel calibro ci si potrebbe
aspettare una carriera scolastica sfavillante, ricca di ottimi
voti e senza macchia, ma così non fu. Il piccolo Giuseppe
non si distinse certo per lo studio, tanto che dovette addirittura
ripetere qualche anno. E c’è di più: andando
a spulciare i registri scolastici si può leggere che durante
un anno scolastico raggiunse il numero minimo di presenze consentite
e successivamente «perpetuo abfuit» che vale a dire:
“non si è più fatto vedere”. La causa
di questo assenteismo scolastico non va interamente imputata al
ragazzo. Parte della colpa, infatti, va attribuita alla misera
condizione economica nella quale la famiglia versava. Per arrotondare
le magre entrate, infatti, Giuseppe dovette lavorare in qualità
di scrivano e impartire lezioni private ai nipoti del canonico
Agudio. Nello stesso tempo portava avanti i suoi studi. Il giorno
otto giugno del 1754, quindi all’età di venticinque
anni, divenne diacono a Milano, mentre il quattordici di quello
stesso mese venne ordinato sacerdote a Lodi. A partire da quel
giorno potè finalmente usufruire del beneficio lasciatogli
dalla prozia legato all’abbazia di San Colombano al Lambro
a Vaprio d’Adda.
Due anni prima di prendere i voti, Parini pubblicò la sua
prima opera. Il poeta dette infatti alle stampe “Alcune
poesie di Ripano Eupilino”. Come dice Francesco Reina non
si tratta di opere di grande valore; certamente molto al di sotto
dei suoi componimenti successivi tuttavia si vede già “la
stoffa del poeta”.
«Gli amici di lui mossi più dal desiderio di giovargli
che di renderlo celebre, nel 1752 lo spinsero immaturo a pubblicare
varie sue poesie [...] dal vago Eupili suo [...]. Gran lode gliene
venne; perciocché traluceva dalle cose sue quel grande,
che fa segnalati gli autori. Quindi egli fu accarezzato a gara
da’ colti ingegni, e spezialmente da Trasformati...».
Anche se non eccelsi i componimenti dettero a Parini la possibilità
di accedere all’Accademia dei Trasfor mati. Qui ci fermiamo
con la seconda parte della biografia pariniana. Appuntamento sul
prossimo numero de “La Goccia Briantea” per la terza
puntata della saga della famiglia Parini.
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