L’ESECUZIONE
DI SADDAM
Gennaio 2007
di dario Meschi
L’esecuzione
di Saddam Hussein ha diviso l’opinione pubblica internazionale:
la maggioranza degli italiani a livello istituzionale si è
dichiarata contraria alla pena capitale, anche se applicata in
seguito alla perpetrazione di gravissimi crimini. La condivisione
di un atto di clemenza, che risparmiando la vita condanna però
all’ergastolo, divide le coscienze, coinvolge la sensibilità
e i convincimenti personali, a tal punto da interessare intere
nazioni e i loro governi. L’impiccagione di un dittatore,
trasmessa sui video di tutto il pianeta, è un atto crudele
che non serve a mitigare le violenze, le incomprensioni e le ingiustizie,
ma solo a rafforzarle, se non addirittura ad affermare la ferocia
e la barbarie dell’uomo, umiliando i sentimenti della popolazione.
La condanna a morte con un atto violento contro la vita è
condivisa in molti Paesi del mondo che la ritengono un utile deterrente
contro la criminalità, e l’applicazione di una giusta
pena contro esecrabili reati. Le motivazioni a favore e quelle
contrarie all’applicazione della pena capitale sono molteplici
e si riconducono alle convinzioni politiche, religiose, culturali,
morali ed etiche dei popoli, alla necessità di sancire
pene severe per contrastare il lassismo dei costumi e della morale,
nonché per il dilagare della criminalità e dell’immoralità,
che si stanno diffondendo in Occidente, e la barbarie ancora presente
in molti paesi dove, in difesa di falsi ideali o di interessi
di parte, si combattono guerre, si esercitano persecuzioni di
massa e si compiono massacri. I difensori della libertà,
gli americani liberatori, secondo alcuni, o gli invasori imperialisti,
secondo altri, hanno manifestato la loro soddisfazione per la
fine del tiranno, ed hanno difeso la scelta del loro presidente,
e come loro hanno fatto altri politici sparsi nei cinque continenti.
Il governo italiano, tramite l’ambasciatore Marcello Spadafora,
ha chiesto al presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu,
il russo Vitaly Churkin, che l’assemblea generale delle
Nazioni Unite riprenda in esame il tema della moratoria universale
della pena di morte in base al documento presentato lo scorso
dicembre alla stessa Assemblea generale. La dichiarazione sull’abolizione
della pena capitale e sull’introduzione di una moratoria
delle esecuzioni, presentata lo scorso 19 dicembre, è stata
sottoscritta da ben 85 dei Paesi membri.
Il presidente iracheno Nuri al Malihi ha risposto alle critiche
pronunciare da Romano Prodi ricordando che, a differenza di quanto
successo nel suo paese, gli italiani assassinarono Benito Mussolini
senza processarlo e senza offrirgli nessuna possibilità
di difesa, ricordando così la tragica fine della seconda
guerra mondiale e la nefandezza della guerra civile. Il premier
iracheno è sicuramente il meno indicato a biasimare il
comportamento altrui, anche se i rappresentanti del nostro governo,
tra loro gli eredi del Pci, non hanno sentito il dovere, prima
di proporsi come paladini di virtù, di chiarire come si
compirono esattamente e perché i tragici avvenimenti del
25 aprile dei mesi precedenti e di quelli successivi che permisero
il massacro di decine di migliaia di italiani colpevoli soltanto
di aver creduto in un’ideale e di aver sostenuto con la
loro adesione il regime fascista, pur non essendosi macchiati,
nella maggioranza dei casi, di nessuna colpa. Evidentemente, è
facile per molti esponenti politici proporsi come liberisti, neo-liberali
e libertari, come tutori dei diritti civili e della non violenza,
magari coprendo con la viltà del silenzio, le colpe di
chi armò la propria mano per vendetta e per rancori personali.
I rappresentanti politici per essere creduti e dimostrarsi convincenti
dovrebbero finalmente aprire gli archivi storici per far luce
sugli avvenimenti successi negli anni della guerra fratricida,
e dei primi anni del dopo guerra, non per ricordare i torti e
le angherie, ma per rendere onore a coloro che persero la vita
senza colpa, se non quella di aver creduto in valori e ideali
opinabili ma sicuramente rispettabili. La vera barbarie è
rappresentata dal silenzio e dalla compiacenza, e il vero orrore,
prima ancora di discutere sulla legittimità della pena
di morte, è rappresentato dai processi celebrati con sentenze
di morte già scritte.
Dario Meschi
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