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di Antonio Isacco
Gennaio 2007

QUALE CIVILTA’…

Grazie all’Islam più fanatico perché ha dissotterrato un’espressione sepolta dall’incuria e dal benessere: civiltà. Non c’era più traccia consapevole di civiltà fino a quando i suoi nemici islamici non l’hanno messa in pericolo e a confronto. Certo, nessuna ragione potrà compensare le tragedie innescate dal terrore, la vita troncata di migliaia di persone, a New York come altrove. Cogliamo almeno quel che di buono lascia il male. E il buono è una civiltà che si scuote dal suo dolce e disperato spegnersi, con noncuranza e automatismo. Una civiltà che smette di viversi addosso ma anche di piangersi addosso, e si ripensa come tale, nel confronto con le barbarie e con altre civiltà. Ma qualcosa insorge dentro di noi se a disprezzare la nostra civiltà e dichiararle guerra e morte sono i barbari, gli estranei. La bambagia del mondo senza confini, la retorica del globale combinata alla retorica umanitaria, d’un tratto si arresta e si riprende a ragionare di coni di luce e zone d’ombra, aree di sicurezza e incursioni barbariche. Dall’antagonismo riprende forma e corpo la civiltà. Pensate che possa vivere a lungo una civiltà che trascura il suo perimetro visibile e invisibile, le sue forme e la sua essenza, la sua cultura e le sue tradizioni? Pensate che possa reggere all’urto demografico, ideologico, psicologico, terroristico, di una larga fetta del pianeta? Odio feroce di una corposa minoranza, antipatia diffusa di mezzo pianeta, un misto di disprezzo e invidia: invidia per i mezzi e gli apparati, disprezzo per gli scopi e i modi. La civiltà minacciata, in pericolo di vita, scopre allora risorse che credeva spente.Quando decade una civiltà? Quando le prerogative finiscono trasferite nel privato, riguardano esclusivamente l’individuo e al suo star bene, a prescindere dal contesto. Nel nostro caso sta accadendo questo: la civiltà invecchia e i suoi abitanti tornano bambini. Sì, non basta parlare di decadenza senile della civiltà nel confronto con i popoli più giovani, prolifici e vitali; c’è un rigurgito di infantilismo che attraversa la nostra civiltà, il desiderio puerile di non avere limitazioni, di non assumersi responsabilità e di vivere secondo i capricci, egocentrici e narcisi. L’infanzia è la zona franca della civiltà, l’epoca in cui tutto è permesso perché non siamo ancora entrati nello stadio maturo e civile. E’ stupido preoccuparsi, come accade i Italia, per un Paese spaccato nel suo corpo elettorale in due fette equivalenti. E’ la democrazia. Il Paese non è spaccato nel suo corpo elettorale ma nell’anima. E non è solo il nostro Paese, ma l’intera nostra civiltà. In Danimarca è stata concessa la fecondazione gratuita per single e lesbiche. In Spagna, Zapatero ha permesso i matrimoni omosex, il diritto di cambiare nome e sesso. In Olanda non ne parliamo, c’è perfino la legittimazione della pedofilia. Anche il Parlamento europeo è spaccato su questi temi. E la spaccatura non riguarda governi e parlamenti, ma gente comune e la vita quotidiana. Esplodono sulla famiglia e sulle coppie di fatto diversi conflitti: la fecondazione artificiale o naturale, l’eutanasia e il testamento biologico, la cittadinanza secondo i genitori o il luogo di nascita, l’omosessualità e l’aborto, la libertà dello spinello e non solo, le modifiche genetiche e la clonazione, il rapporto con le religioni, il nostro Dio e il loro Allah, e così via. Ricordo gli anni passati quando si denunciava preoccupati l’avvento del pensiero unico, il tramonto delle vecchie categorie di destra e di sinistra, l’appiattimento universale e ancor prima l’omologazione culturale. Beh, non corriamo questo rischio. Anzi, corriamo esattamente il rischio opposto, una spaccatura senza precedenti che attraversa e spappola la società. Pensate alle divisioni tra comunisti e democristiani, tra fascisti e antifascisti, tra borghesi e proletari, perfino quelle tra meridionali e settentrionali. Ci si scannava su ideologie e scelte politiche, civili, su appartenenze, ma vivevamo nello stesso orizzonte comune. Tutti si sentivano all’interno della stessa società. La sinistra non era diversa dalla destra, in questo; anzi alle volte c’era un moralismo popolare, un’intransigenza proletaria e una diffidenza verso quei modelli di vita definiti pervertiti perché ritenuti vizi borghesi o aristocratici, comunque decadenti, da figli di papà. Oggi la spaccatura è profonda, radicale. Nei nostri giorni c’è una divaricazione sempre più netta, due modi opposti di concepire la vita, la morte, la famiglia, il corpo, il sesso e i figli, l’uso della libertà e perfino del linguaggio, che fa paura. Una guerra civile capillare. E’ difficile convivere in una società in cui il vicino di casa è considerato un barbaro, benché viva e vesta come noi, perché non crede ai nostri valori di riferimento, siano essi “emancipati” o “tradizionali”. Altro che comunisti e fascisti, moderati e rivoluzionari, di destra e sinistra. E altro che omologazione, pensiero unico. Siamo alla guerra civile più radicale che la storia abbia conosciuto, perché è una guerra biologica e spirituale, culturale e morale, e mette in discussione gli assetti millenari e fondamentali della vita pubblica e privata, l’idea stessa di uomo.





 
 
 
       

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