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LA PINA DI MEVATE
Storia di altri tempi

Gennaio 2007
di Archimede Parravicini


La Val Mara si apre a ventaglio sopra il Pian d’Erba, poggiando su due strapiombi rocciosi a V rovesciata. Nella parete di sinistra, per chi guarda dal piano, si apre la caverna detta: “Buco del Piombo”, da sempre meta di escursioni. I panorami fruibili dal culmine della Mara, sono altri buoni motivi per indurre i gitanti a lunghe scarpinate.
Negli anni ’50 del secolo scorso, le Ferrovia Nord, da Milano, attraverso la Brianza, portavano a Erba, la domenica e altri giorni festivi, frotte di turisti che si inerpicavano per strade e sentieri costellati da Locande, Osterie e Ristoranti alla buona. In questi luoghi non mancava un locale o uno spiazzo per ballare: con pochi strumenti musicali (non doveva mancare la fisarmonica); con la “radiola”: un giradischi con le puntine di acciaio e un amplificatore con gli altoparlanti a tromba, o almeno un organo verticale dei F.lli Ratti di Erba: sorta di grosso “carillon” con veri strumenti percossi da martelletti sollecitati dai chiodi su un cilindro rotante; dopo aver caricato la molla, si introduceva una moneta che sganciava il ferro per avere una suonata: uno Juke-Box ante litteram! Non tutti gli avventori di questi locali giungevano a piedi, vi era chi arrivava con propri mezzi a motore, una “Topolino” in cui erano stipati in sei, un camioncino con panche (residuato bellico) per una comitiva, fin dove la strada lo permetteva. Più numerose le motociclette che permettevano di affrontare stradine in cui un’auto non passava. “Ul Milanes” (era di Paderno Dugnano) arrivava tutte le domeniche all’”Alpina”, con la sua Gilera Saturno, motocicletta ammirata come oggi si guarderebbe una “Ferrari”. Questi aveva fatto comunella con altri abituali avventori, gente anche del posto, con cui condivideva la passione per il gioco della “morra”, che asciuga l’ugola per il gran vociare e quindi doveva essere irrorata di frequente, attingendo col mestolo da una capace marmitta colma di vino e gazzosa. Al termine dell’ennesima partita, “Ul Milanes”, chiede agli amici quale, fra le ragazze presenti, fosse la più abbordabile: gli viene indicata la Pina di Mevate. I capelli corti e neri contornavano un bel viso regolare dalle labbra carnose appena sfiorate dal rossetto, la camicetta bianca faticava a contenere i prorompenti seni; stretta in vita una larga cintura tratteneva una gonnellina pieghettata che ad ogni giro di valzer metteva in mostra un bel paio di gambe affusolate e ben tornite: un bel tocco di figliola, la Pina! Unico neo, non conosceva l’italiano, parlava solo in dialetto e se doveva dire qualcosa in lingua, traduceva letteralmente dal brianzolo. “Ul Milanes”, invita la Pina a ballare e, dopo una mazurka e qualche tango, si vedono uscire, mano nella mano, verso il bosco che cela angoli di intimità. Passano pochi minuti e i due sono già di ritorno, la Pina rientra nella sala dove si balla, “Ul Milanes”, raggiunge gli amici in attesa di sapere cos’è successo e racconta, trattenendosi dal ridere, che alla sua richiesta di fare all’amore, la Pina ha così esordito: “Oggi non posso perché ho i miei oggetti, ma se vuoi, te lo conduco!”

Archimede Parravicini

 
 
 
       

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