
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Gennaio 2008
L’ETICA SPORTIVA
(decima parte)
Cosa fare, dunque,
per invertire la rotta? Non certo, a mio modesto avviso, le punizioni
che sono state inflitte e che sono state sfavorevolmente commentate
dagli opposti “partiti” dei “giustizialisti
ad ogni costo” e dei “garantisti secondo convenienza”.
Per i primi le condanne sono state molto blande e sono state poi
“annacquate” nei vari, troppi, gradi di giudizio della
giustizia sportiva e non hanno colpito con severità tutti
quelli che erano in qualche modo compromessi col sistema che era
stato creato. Per i secondi le condanne sono state molto severe
nei confronti di alcune società ed hanno comportato perdite
economiche notevoli; per costoro si dovevano punire, magari anche
con maggior rigore, i diretti responsabili, ma non le società
che sono “patrimonio sportivo” dei tifosi. La situazione
ha poi creato un imbarazzo ancora maggiore allorché la
società, alla quale era stato attribuito lo scudetto per
la stagione 2005/2006 e che aveva subito intitolato tale trofeo
alla propria “probità” sportiva sostenendo
che trattavasi di un premio alla propria condotta irreprensibile
e al di sopra di ogni sospetto, di uno scudetto “etico”,
si è trovata coinvolta nell’altro grave scandalo
delle intercettazioni illegali, così da rischiare anche
essa di finire nella melma della giustizia sportiva, oltre ovviamente
di quella penale essendo stata violata, per finalità estranee
alla legge, tutto l’insieme delle norme a tutela della privacy.
Senza contare che tale società, a sua volta, era stata
invischiata nell’affare dei passaporti “falsi”
ed un suo dirigente aveva pochi mesi prima “patteggiato”
la pena davanti alla giustizia ordinaria. Anche qui si è
assistito ad opposte prese di posizione: alcuni hanno sostenuto
che era stata l’UEFA a sollecitare l’assegnazione
dello scudetto ad una società, altri hanno ribattuto che
l’UEFA voleva solo sapere l’ordine di classifica delle
varie società per poter decidere in tempo chi ammettere
direttamente a partecipare alla “Champions league”,
chi attraverso una fase preliminare e chi, infine, alla “Coppa
UEFA” ed hanno contestato l’assegnazione dello scudetto
da parte dell’ ex commissario straordinario Rossi, sebbene
su parere di una commissione di saggi, in quanto in “conflitto
di interesse” per essere stato dirigente di quella società.
Una domanda occorre porsela “ma si può ricorrere
all’intervento del magistrato per sanare i guasti che vengono
prodotti da comportamenti poco ortodossi?”. La magistratura
dovrebbe scendere in campo come estrema “ratio” allorchè
vengono meno tutte le regole di autodisciplina, vale a dire quando
un determinato ambiente ha dimostrato di non essere assolutamente
in grado di autotutelarsi. Sotto questo angolo visuale l’etica
dovrebbe costituire il primo intervento, arrivare prima ancora
della legge; qualcuno l’ha paragonata ad una sorta di cura
preventiva in grado di allontanare le forme morbose più
gravi. L’applicazione ed il rispetto delle norme comportamentali
di tipo etico, qualora diventassero una sana e normale prassi
quotidiana da sostanziarsi in una serie di comportamenti leciti
e da tutti accettati e condivisi, dovrebbero essere capaci di
restringere il campo d’azione dell’Autorità
Giudiziaria, limitandone l’intervento a quei casi assolutamente
eccezionali, a quei crimini del tutto imprevedibili. La magistratura
è come l’hegeliana nottola di Minerva, interviene
e pone in essere la sua azione riparatrice a cose già fatte,
quando cioè già si è verificata la lesione
della legge. Cosa bisogna fare per limitare questi interventi?
Nient’altro che mettere in atto tutta una serie di dispositivi
per prevenire le lesioni dell’ordine sociale e tutto ciò
può essere racchiuso in due parole: etica pubblica. Non
sta certo a me stabilire se un dirigente anziché un altro
abbia violato con i suoi comportamenti le basilari norme della
giustizia sportiva, siano esse quelle relative alla probità
o all’illecito, sia stato sleale o abbia condizionato fraudolentemente
i risultati, ma quello che c’era di immorale era l’aver
intrattenuto rapporti assidui e troppo frequenti con gli arbitri,
collaboratori degli arbitri e loro designatori: questa costituisce
una violazione dell’etica estremamente grave. In questa
ottica l’etica da una parte diviene il “minimo comune
multiplo”, la base della quotidiana convivenza, dall’altra
si presenta e si caratterizza come profondo rispetto sia di se
stessi che degli altri. L’etica tramonta, invece, quando
ricorriamo e ci nascondiamo dietro il “ così fanno
tutti” che nel suo squallore non rappresenta altro che la
fotografia di una società (dalla più piccola alla
più grande) moralmente degradata e incapace per indolenza
di darsi dei sani principi morali intorno ai quali costituire
il proprio centro vitale o nucleo fondante.
lbuttinifilos@alice.it
(Continua 10)
|