La
Specola di Merone, il quartiere dei Marzouk
Il sindaco rivela: Azouz aveva chiesto la
residenza a Merone, ma non gli è stata concessa
Gennaio 2008
di Enrico Viganò

Pietro Brindisi, sindaco di Merone, non
accetta che il suo paese venga presentato dalla stampa come crocevia
della droga, e neppure come covo della “banda dei tunisini”.
L’arresto dei Marzouk di qualche settimana fa per presunto
spaccio di droga, ha fatto rimbalzare ancora una volta su tutti
gli schermi televisivi e sui giornali nazionali e locali le palazzine
della Specola di Merone, dove abita la famiglia Marzouk. Già
un anno fa, dopo la strage di Erba dell’11 dicembre 2006,
le telecamere hanno ripreso in lungo e in largo il quartiere,
e in particolare la seconda casa a nord ovest, dove Azouz Marzouk,
marito di Raffaella, papà del piccolo Youssuf e genero
di Paola Galli - tre delle quattro vittime della tragedia di Erba
- era ospite del fratello Fhami. “Respingo - dice il sindaco
Brindisi - quanto scritto dalla stampa nei giorni scorsi: Merone
non è il crocevia della droga e non esiste nessuna “banda
dei tunisini”. Come non è vero che la droga veniva
spacciata davanti al comune. Sono presente in comune tutti i giorni
e non ho mai notato giri strani. E poi Azouz non è residente
a Merone. E’ vero - rivela il sindaco - Aveva chiesto la
residenza, ma non gli è mai stata concessa”. Un anno
fa, in una precedente intervista a noi rilasciata, lei sindaco,
parlando della frazione Specola, diceva che il problema della
droga era un “calvario”. “ Ho sempre denunciato,
e in tempi non sospetti, la presenza di spacciatori in quella
zona - risponde Brindisi - . Come sapevo da tempo che la Digos
e la Guardia di Finanza stava conducendo indagini in quella zona,
ma ovviamente non ho mai rivelato nulla per non vanificare il
lavoro delle forze dell’ordine. Però non si può
fare di ogni erba un fascio. Non si può dare certi giudizi
negativi su tutti gli abitanti del quartiere o sul paese intero.
A la Specola vivono tanti ottimi cittadini. E’ dovere di
noi amministratori tutelare costoro contro chi fa dell’illecito
il proprio modello di vita”. Il quartiere Specola è
composto da dieci palazzine, per un totale di sessanta appartamenti.
Alcuni sono abitati da immigrati o come proprietari o affittuari
o subaffittuari. Diventa difficile, però, capire quante
persone vivano in ciascun appartamento. “E chi lo sa! C’è
un continuo via vai. Dicono sempre che sono cugini, parenti di
passaggio” si lamenta un signore anziano, che preferisce
restare nell’anonimato. Questi condomini sono stati costruiti
dal comune negli anni sessanta-settanta e affittati alle famiglie
bisognose del paese. Negli anni novanta le amministrazioni comunali
guidate dalla lista civica Rinnovamento Democratico decisero di
metterli in vendita. Una decisione criticata dall’allora
capogruppo di minoranza, Pietro Brindisi. Oggi tocca proprio a
Brindisi gestire da sindaco un degrado che di anno in anno rischia
di diventare irreversibile. “Io criticai quella scelta -
dice Brindisi - perché non ritenevo giusto che un patrimonio
comunale destinato ai meno abbienti del paese, venisse svenduto
unicamente ‘per fare cassa’, per poter costruire cioè
le nuove scuole elementari e per trasformare le vecchie scuole
di via Appiani in appartamenti. Gli acquirenti di quelle case
non furono solo i residenti. Si pensi che ben otto appartamenti
furono acquistati da una signora rumena, risultata poi prestanome
di un’agenzia immobiliare di Erba. Alcuni poi sono stati
rivenduti a prezzo maggiorato. Non era neppure vero che i costi
di gestione erano troppo elevati per il comune; infatti i nuovi
proprietari non hanno eseguito finora alcun intervento di ristrutturazione”.
Dei sessanta appartamenti, sette sono ancora di proprietà
comunale e una quindicina abitati da immigrati. “Ora ci
ritroviamo un quartiere - conclude sconsolato il sindaco Brindisi
- che rischia di sfuggirci di mano”.
Enrico Viganò
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