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Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Giugno 2005


Perchè l'Acqua

Un grazie innanzitutto ai lettori per gli auguri alla rubrica. Un lettore mi chiede perché Talete concepì l'acqua come principio di tutto e non la luce, l'aria, il fuoco, la terra o altro. Talete con l'acqua volle indicare un principio delle cose più profondo del loro manifestarsi in superficie. Ma perché proprio l'acqua? Lo spiega Aristotele che, nel I° libro della Metafisica, riferisce "Talete desunse questa sua convinzione dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è umido e che perfino il caldo si genera dall'umido e vive nell'umido" aggiungendo che "ciò da cui tutte le cose si generano è perciò il loro principio. Talete formulò questa teoria constatando che i semi di ogni cosa hanno una natura umida e l'acqua è il principio della natura delle cose umide". Aristotele, dopo aver collegato il pensiero di Talete ad un'antica visione mitica, presente pure in Omero, secondo cui Oceano e Teti erano il padre e la madre delle cose, i progenitori del divenire e l'origine stessa degli dei, richiama un'antica credenza secondo cui gli dei giuravano sul fiume (=acqua) Stige: e ciò su cui si giura è certamente da considerare il primo e il supremo.
Per il prof. Reale le figure di Oceano, Teti e Stige si muovono ancora nell'orizzonte del mito, sono creazioni dell'immaginazione che non riescono ad uscire da questa dimensione, mentre l'affermazione di Talete ci fa entrare nel campo della filosofia vera e propria perché è basata sulla ragione, sul "logos". Talete, con Anassimandro e Anassimene, è esponente del c.d. "Naturalismo ionico". Aristotele li definiva gli "antichi fisiologi" perché la loro era una scientifica "indagine sulla natura (physis).La "physis" indica il mondo del divenire, dal quale il filosofo si innalza per attingere il principio che permane eterno. La radice di "physis" richiama le forme verbali "phyein" e "phyestai", che indicano il generare e il crescere: l'ambito della "natura" coincide così con quello della "genesi". Anassimene, invece, vide il principio di tutte le cose nell' "aria" che è soggetta ad un duplice processo: di rarefazione e di condensazione. Rarefacendosi diventa fuoco, condensandosi diventa vento poi nube e poi acqua e, quindi, condensandosi ulteriormente diventa terra e infine pietra". Per Anassimene il principio è l'aria perché essa, meglio di ogni altra cosa, incarna il processo di trasformazione dei contrari e dà espressione concreta al passaggio dall' "uno" ("il principio") ai "molti" ("le singole cose"), dall'infinito alla pluralità dei mondi e delle cose. Poi "come la nostra anima che è aria tiene insieme noi, così lo spirito e l'aria avvolgono tutto il cosmo", cioè come l'essere vivente vive proprio perché respira aria così avviene per ogni cosa e per il cosmo stesso che per il Nostro è un grande organismo vivente. L'aria, infine, non sembrando aver confini, può essere concepita come infinita. Per Anassimandro, che fu maestro e amico di Anassimene (ho invertito l'ordine di presentazione per un'economia logica di esposizione), il principio di ogni cosa per poter essere tale doveva collocarsi al di là di ogni determinazione altrimenti sarebbe solo una parte e non il tutto che comprende le parti. Qui si coglie già la forza del pensiero astratto: per determinare il principio si va al di là delle cose concrete: il principio non può avere in sé tracce di particolarità. Quale è allora questo principio per Anassimandro? E' l' "apeiron" che viene comunemente tradotto con "infinito", "illimitato": tale traduzione non rende la sua valenza concettuale perché il termine "apeiron", marcato da quell' "alfa" privativa, è "ciò che è "privo" di ogni limite o determinazione", sia esterno che interno. Con esso Anassimandro volle indicare sia l'infinito quantitativo che l'indeterminato qualitativo; in parole povere l'apeiron è ciò che non ha limiti di spazio né determinazioni di qualità. Tutte le cose provengono dall'apeiron per un processo di distacco dei contrari (caldo-freddo, secco-umido, ecc.). A prescindere dalla diversa indicazione del principio primo e supremo delle cose (acqua, aria, apeiron) quello che bisogna rilevare è che questi primi filosofi si staccano decisamente dallo spirito del mito, che configurava invece il principio delle cose nella forma del "racconto", cioè parlava di una serie di figure mitologiche colte nel loro succedersi (si pensi alla Teogonia di Esiodo o alla Cosmogonia di Ferecide di Siro). Il principio cui si rivolgono i primi filosofi non si disperde nelle singole cose ma è presente ( o "immanente" a meglio dire) in esse quale causa e fondamento del loro essere. È ovvio che agli occhi di questi primi filosofi la natura si presentava in molteplici aspetti ( albero, pietra, fiume, ecc.) e percorsa da un incessante divenire che rappresenta il mutamento che le cose di questo mondo subiscono) pur tuttavia il loro pensiero non solo contemplava questo divenire nelle sue molteplici e contrastanti sfaccettature ma cercava al tempo stesso di abbracciarlo come totalità e di coglierlo nella rigorosa unità di un principio. Come ha detto Cassirer, nel concetto della filosofia ionica della "physis" i due opposti momenti del mutamento e della conservazione, del divenire e dell'essere non sono disgiunti ma vengono "correlati e colti in unità". La natura del principio delle cose è tale che si disperde nella molteplicità delle varie configurazioni dell'essere ma non si distrugge in esse in quanto si conserva un " nocciolo fondamentale".
Mi sono dilungato sul problema della pluralità-unità, del divenire-essere perché la loro comprensione renderà più chiare le problematiche successive. Già nei primi pensatori la filosofia si smarca dallo spirito del mito anche se, pur nei suoi massimi esponenti quale Eraclito, Parmenide e lo stesso Platone, non riesce completamente a farne a meno. Sono problematiche che vedremo in seguito quando esamineremo come la filosofia si distaccò dal mito, che cosa successe con la nascita della filosofia, che cosa è in definitiva la filosofia e chi è il filosofo.

 

 

 
 
 
       

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