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RAZZISMO e SOCIETA' MULTICULTURALE

Giugno 2007

Chi, in casa propria, difende la sua dignità, le sue povere cose, il suo quartiere, la sua libertà, la sua attività, la sua cultura o la sua religione, è un “razzista”. Almeno questo è ciò che avviene nelle società “evolute” in nome della pseudo-cultura buonista ritenuta “politically correct”, in virtù della quale il povero cittadino comune dovrebbe tollerare ciò che normalmente sarebbe da considerare intollerabile, per salvaguardare le culture e la dignità delle minoranze. Se il povero cittadino non riesce a tollerare, questo sarebbe da attribuirsi ad un suo limite culturale personale o, più in generale, alla inadeguatezza della nostra civiltà occidentale che non riuscirebbe ad offrire condizioni idonee all’accettazione delle minoranze. Tutto ciò è evidentemente assurdo e pericoloso, in quanto il “razzismo vero” attecchisce e si sviluppa proprio allorquando lo stato non sia capace di tutelare adeguatamente i propri cittadini. Una società multiculturale ideale, sarebbe teoricamente quella dove fosse possibile vivere sulla base della propria cultura e della propria religione, nel rispetto reciproco e nella tutela di tutte le diversità. Ma questo ideale è applicabile solo nel caso di culture, se non omogenee, almeno “compatibili”. E’ evidente che tale ideale non può essere che un’utopia. Prendiamo il caso delle comunità “rom”. Per cultura e tradizione, tali comunità hanno sviluppato una sistema di sopravvivenza, consistente nell’arte di arrangiarsi nello sfruttamento delle comunità non-rom che si trovano nella loro area. Questo, in qualche caso, si traduce in attività pseudo-legali, come il commercio di materiali ferrosi o di rame trovato nelle discariche, in altri casi nello sfruttamento di giovanissimi mendicanti che fingono gravi menomazioni o che tengono in grembo bimbi di pochi mesi, in altri casi ancora nella pratica di borseggi o piccoli furti nelle abitazioni private, condotti con abilità e destrezza, con sprezzo del pericolo e delle forze dell’ordine. Tutto ciò è ben noto. Ci si può stupire della scarsa buona accoglienza che ricevono tali comunità? Tali comunità e comportamenti sono compatibili con la nostra società? Ma problematiche analoghe, se non più gravi ed inquietanti, si pongono anche considerando realtà diverse, come le comunità cinesi, con i loro ritmi sovrumani di lavoro e le pratiche di commercio al di fuori delle regole legali, o con le comunità di religione islamica, dove in alcune delle quali si attuano pratiche religiose o pseudo-religiose come l’infibulazione, o la segregazione delle donne o la punizione grave per l’adulterio o l’unione con un non-musulmano. Altra importante questione è il mito della integrazione. La verità è che molte di queste comunità, specie le più distanti dal nostro modello occidentale, non vogliono affatto essere integrate. Non ha dunque alcun senso insistere nell’idea, sbagliata in partenza, di assimilazione ed integrazione delle varie culture e religioni alla nostra cultura. Semplicemente non potrà mai avvenire nulla del genere, laddove in partenza non si vuole che ciò avvenga. Quello che si può e si deve ricercare ad ogni costo è che si evitino la creazione di barriere insormontabili, di confini interni invisibili, ma reali, tra comunità, di ghetti all’interno dei quali vigano regole e comportamenti diversi da quelli degli altri territori e comunità. Questo significherebbe minare al suo interno la società, con la creazione di realtà separate e conflittuali tra di loro. Tutto ciò è chiaro come teoria, ma è assai difficile e delicato da realizzarsi. Fin dove concedere l’autonomia culturale, quali sono i minimi ed indispensabili elementi di integrazione con la maggioranza culturale della società ospitante? Ancora, è giusto rinunciare a tradizioni e riferimenti culturali della nostra società, in nome della multiculturalità e del rispetto per le minoranze (vedi la questione del crocifisso)? Quello che se ne può detrarre, in conclusione, è che non è possibile in una moderna e credibile società multiculturale l’assimilazione tout court di ogni forma culturale o religiosa, ma che è giusto e necessario porre dei limiti; questi limiti vanno stabiliti secondo le norme di giustizia, legalità, senso civico ed umanitario di tipo universalistico, che è conforme, in linea di massima e senza tema di smentite, ai principi della civiltà occidentale, la quale talora bistrattata civiltà occidentale indubbiamente costituisce la più avanzata forma di civiltà ai nostri giorni. Infine tali limiti stabiliti vanno fatti rispettare ad ogni costo, pena l’insuccesso dell’esistenza stessa della società multiculturale, con gravi rischi di destabilizzazione sociale e di sicurezza interna ed internazionale. In conclusione la vera società multiculturale non è quella che consente tutto a tutti, ma è quella che sa porre condizioni giuste e chiare, sapendo farle applicare e rispettare a tutti.

Luigino Rigamonti

 
 
 
       

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