Berlusconi
mette un cerino acceso tra le mani di Prodi (e di Fini e Casini)
Giugno 2007
di Carlo Panella

George Bush è costretto a non entrare
a Trastevere perché Roma è città chiusa per
lui, è off limits a causa non dei black blok, ma delle
manifestazioni convocate dalla sinistra di governo, dai ministri
di Rifondazione, Pdci, Verdi e Sinistra Democratica di Mussi.
Un veto politico che pesa come un macigno sul governo Prodi, terrorizzato
dalla provabilissima evenienza che –unico caso al mondo-
i probabili incidenti di piazza contro Bush trovino una ampia
copertura politica in ministri del governo che lo ospita. Un casino,
detto in linguaggio diplomatico che riporta la temperatura del
governo tra i 40 e i 41 gradi, alla soglia del deliquio, mentre
l’ulcera che sta macerando lo stomaco dell’esecutivo
è ormai prossima a perforarsi e a produrre emoragia. Un
ministro, Di Pietro, occupa tutti i media occupabili per spiegare
che la Stampa ha fatto bene a pubblicare la “spazzatura”
su D’Alema, anzi, che gli ha fatto un favore, ridicolizzando
così malignamente D’Alema stesso che ieri sul Tg1
aveva minacciato di querela, guai e tempeste la Stampa stessa
“con quella sua proprietà….!”. Gli altri
ministri, quelli della Margherita, se ne sbattono di D’Alema,
sempre per usare un linguaggio diplomatico e non si vergognano
di comunicarlo ai giornalisti che incontrano nel Transatlantico.
In questa situazione, Silvio Berlusconi tenta l’affondo,
perché la “proposta di Oristano”, per la prima
volta da un anno, non è più propaganda, non è
più declamazione: è una intelligente mossa tattica
che spiazza tutti. La novità non è solo nella richiesta
di un governo di transizione, ma soprattutto nella definizione
per la prima volta enunciata: “di sinistra”. Non un
governo istituzionale, non un governo di unità nazionale,
ma un governo con un premier (Dini, Amato, Marini, Bersani) e
ministri dell’Unione, che prepari la legge elettorale condivisa,
vari la Finanziaria 2008 e vada a elezioni nella primavera del
2008.
La mossa è decisiva innanzitutto perché mette in
difficoltà Fini e Casini, li obbliga a trovare pretesti
non credibili per mascherare la loro voglia di spostare le elezioni
in avanti per evitare una ricandidatura di Berlusconi. In breve
tempo però, come sempre è successo, gli eventi,
la crisi incontrollata di Prodi li porterà a seguire questo
schema di Berlusconi (nessuno dei due ha voglia di condividere
con la sinistra le responsabilità di recuperare il disastro
di Prodi), con conseguente rafforzamento del leader di Forza Italia
nei confronti del Quirinale.
Ma anche i Ds e la Margherita sono messi in difficoltà.
Sanno infatti benissimo che le possibilità di un recupero
di consensi affidato a una coppia di incapaci come Prodi e Padoa
Schioppa è impossibile, temono di bruciare anche il patrimonio
di casa (come hanno verificato già nella loro Genova) e
cercano una via d’uscita. Se non riusciranno a reggere per
inerzia –come tentano ovviamente di fare- se la piazza di
Roma si infiammerà domani, se perderanno il ballottaggio,
se saranno costretti a fare una scelta di rottura, la prospettiva
di una sfida ravvicinata tra Veltroni e Berlusconi, preparata
da un governo da loro controllato, può sembrare, alla fine,
la meno rischiosa.
Il centro sinistra è ormai costretto al gioco del “chi
fa meno”, ma ha il terrore di dovere iniziare quello del
cerino.
Carlo Panella
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