
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Giugno 2008
CONSIDERAZIONI ETICHE SULLA VICENDA DELLA
CLINICA SANTA RITA
Da quando ho iniziato questa rubrica ho
ricevuto numerose lettere da affezionati lettori, ai cui quesiti
ho dato in molti casi risposte personali dirette oppure l’invito
a continuare a seguirmi perché avrei trattato in seguito
e in modo più organico l’argomento. Oggi, invece,
rispondo ad un lettore che mi ha posto una domanda molto stimolante
che, sperando di non stravolgerne il senso, così sintetizzo:
“Se la bioetica è quel ponte ideale destinato a mettere
in reciproco contatto le scienze sperimentali e quelle umane per
cercare di dare una risposta concreta e quanto più aderente
alle questioni morali che riguardano l’uomo e il senso stesso
del suo essere al mondo, quale valutazione si può dare
al recente episodio della clinica Santa Rita di Milano e quale
è la mia opinione al riguardo?”.
Sull’episodio sta indagando la Procura di Milano che ha
adottato provvedimenti anche gravi nei confronti dei presunti
responsabili avendo l’inchiesta mostrato uno scenario davvero
inquietante: truffa ai danni del SSN, ma soprattutto numerosi
episodi di lesioni permanenti gravissime e casi di morti sospette,
tanto da giustificare la definizione data dai media di “Clinica
dell’orrore”. Personalmente considero l’intervento
della giustizia successivo a quello dell’etica, vale a dire
che il Codice Penale entra sulla scena allorché i comportamenti
umani deviano dal solco dell’etica e sono ispirati da altri
fattori. L’intervento della magistratura costituisce sempre
l’estrema “ratio” che dispiega la propria azione
allorché le norme di autotutela, ossia quell’insieme
di regole comportamentali di tipo etico, che dovevano garantire
l’assenza di una lesione nel corpo sociale , non hanno funzionato
ed allora diventa necessario il ricorso al giudice per ripristinarne
l’integrità.
La prima impressione è che in questa triste ed orribile
vicenda sembrano essere venuti meno il senso di responsabilità
del medico e i suoi doveri etico-giuridici verso il paziente.
Nel secolo scorso erano operanti due grandi sistemi etici: quello
dell’Ideologia e quello della Responsabilità. Il
primo è ormai tramontato (e non è che ciò
sia stato visto da tutti come un male), mentre il secondo attraversa
una fase di crisi che appare ormai irreversibile come testimoniato
dal prevalere di interessi individuali ed egoistici su quelli
collettivi. Il prof. Veronesi ha recentemente detto che i medici
sono dei professionisti anche preparati ma privi di senso etico
e che la moderna malattia del medico è l’affarismo,
in sintonia con gli attuali standard di successo simboleggiati
dalla fruizione di beni di lusso. Per evitare l’affarismo
del dolore occorrerebbe prevedere all’interno della formazione
del medico degli aspetti etico-comportamentali.
Parole forse troppo dure e probabilmente dettate dall’amarezza
del momento in quanto, a mio avviso, il discorso non deve riguardare
la classe medica nel suo complesso, la cui maggioranza, come sottolineato
dal prof. Amedeo Bianco presidente dell’Ordine dei Medici,
e per come mi consta da personali e dirette conoscenze, è
costituita da professionisti validi e allo stesso tempo attenti
e responsabili, ma deve essere rivolto solo ed esclusivamente
a quella minoranza che ha dimenticato i suoi doveri ed il giuramento
di Ippocrate.
A parere di molti l’episodio della Santa Rita è la
testimonianza di un rischio insito nel sistema del Drg ( Diagnosis
related group), introdotto in Italia da circa 15 anni sul modello
degli ospedali americani. Il Drg è un metodo di rimborso
delle prestazioni ospedaliere basato non sulle giornate di effettivo
ricovero, bensì sulle prestazioni erogate: esami diagnostici,
terapie e soprattutto interventi..
L’introduzione di tale metodo, in sé e per sé
considerato ottimo, ha avuto positivi effetti perché ha
ridotto in maniera sensibile i tempi di ricovero inutile, ma il
rovescio della medaglia è stato che da parte di medici
senza scrupoli, essendo la base del rimborso data da tabelle di
riferimento fisse, si è optato a volte per un trattamento
terapeutico non sulla base di quello che portava giovamento alla
salute del malato, ma di quello che arrecava vantaggi economici
alla struttura sanitaria. È vero che esistono i c.d. casi
limite ovvero delle situazioni in cui la decisione se operare
o meno non poggia su punti di riferimenti certi; in queste fattispecie
il medico dovrebbe basare la sua scelta sulle c.d. “linee
guida” cioè su quelle indicazioni a procedere riconosciute
e condivise da tutti. Queste linee guida hanno sostituito quelli
che erano chiamati i “protocolli” che se da una parte
davano indicazioni chiare sul da farsi, dall’altro lato
erano forse troppo rigidi. Nelle linee guida in sostanza sono
indicati orientamenti di massima e non regole, per cui ampia è
la discrezionalità del medico al riguardo.
lbuttinifilos@alice.it (Continua 18)
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