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Mons. Zakaria vescovo di Luxor

Giugno 2008

di Enrico Viganò

“In Alto Egitto non c’è lavoro, per questo i giovani emigrano. La soluzione non sta nel dare agli emigrati il foglio di via, ma dare loro aiuti economici perché possano iniziare un’attività artigianale o imprenditoriale nel loro paese d’origine, e costruire fabbriche nel loro Paese. Se i giovani trovano lavoro in loco non emigrano”.
Mons. Youhannes Ezzat Zakaria Badir, vescovo della chiesa copta cattolica di Luxor nell’Alto Egitto, ha trascorso lo scorso mese un periodo di soggiorno a Erba, presso don Giovanni Afker, parroco della Comunita S. Eufemia. “Per me don Giovanni – dice - non è un amico, è più che un fratello”. Ha seguito con una certa preoccupazione le discussioni politiche di casa nostra nei confronti degli immigrati. “Nei nostri villaggi c’è tanta povertà. Il problema principale degli abitanti è assicurarsi il pane quotidiano, al resto non pensano. Vivono in capanne con il bestiame. Per questo sono costretti a lasciare il loro paese. In questi villaggi musulmani e cristiani vivono in armonia, sono felici e sereni, si aiutano vicendevolmente. I problemi iniziano quando interviene la politica. Il nostro Paese ha già subito quattro guerre e non ci sarà pace fino a quando non verrà risolto il conflitto palestinese-israeliano. Se si riuscisse a trovare questa soluzione il mondo vivrà in pace”.
La diocesi di Luxor (l’antica Tebe), fondata nel 1895, conta circa 18 mila cristiani suddivisi in 22 parrocchie. Luxor è una delle mete più ambite dai turisti europei, dove possono ammirare la Valle dei Re, le Piramidi, la Sfinge. Sono pochi coloro che cercano di conoscere anche i reali problemi della popolazione “I turisti – dice mons. Zakaria - vogliono divertirsi e anche le guide non danno informazioni esatte sulla situazione dei nostri paesi. Solo i turisti accompagnati da sacerdoti chiedono di incontrarci e di sapere più profondamente la situazione sociale, religiosa delle nostre comunità. Noi cattolici in Egitto siamo una minoranza nell’oceano islamico. Non per questo rinunciamo al lavoro pastorale. Innanzitutto il nostro impegno è spirituale: noi siamo come il seme che muore e un giorno darà i suoi frutti. Siamo la chiesa del silenzio, della sofferenza. La nostra testimonianza è di fede, e di carità. Promuoviamo l’assistenza e l’educazione dei bambini: abbiamo 14 scuole elementari molto apprezzate. Nel mese di agosto, poi, organizziamo un campeggio per 400 bambini sul Mar Rosso e diamo loro tutto, dal cibo ai vestiti. La nostra attenzione è rivolta anche alle donne: abbiamo aperto un dispensario dove è presente un medico e le suore, che prestano loro le prime assistenze, ma quando necessita, la diocesi contribuisce al ricovero ospedaliero al Cairo”. In Italia Mons. Zakaria è rimasto colpito dalla latitanza dei giovani nelle parrocchie e dall’aumento vertiginoso dei problemi famigliari: “Da noi la famiglia – osserva – ha valori tradizionali e sono poche le separazioni. In Italia noto che la famiglia si sta sfaldando. I cattolici italiani sono vittime del benessere, del consumismo Purtroppo i ragazzi, dopo la cresima, abbandonano la catechesi e non approfondiscono le realtà della nostra fede”. Io vengo ogni anno in Italia e nelle parrocchie che visito sono sempre stato accolto con entusiasmo e affetto. Gli aiuti che ricevo in questo mese di permanenza in Italia sono sufficienti alla mia diocesi per tutto l’anno per mantenere il clero, per restaurare le chiese e per portare in campeggio sul Mar Rosso i bambini”.
Con le parrocchie della Comunità pastorale di Erba si è istaurato quasi un gemellaggio?
“Chiedo agli abitanti di Erba di aiutarmi soprattutto nella preghiera e chi volesse dare un contributo economico per la mia diocesi, invito a fare riferimento a don Afker, che considero più che un fratello. Mi sia consentito estendere l’invito a tutti gli amici italiani di venire a visitare la mia diocesi, così potrebbe nascere una fattiva collaborazione”.

Enrico Viganò

 
 
 
       

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