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UN DURANTE SOLIDALE COSTRUTTIVO

Giugno 2009

Mi è capitato tra le mani un opuscolo dal titolo: “Carcere e Società” e mi sono chiesto perché non titolarlo “carcere è società”?
Quell’accento mancante non è cosa di poco conto: sono convinto che una persona detenuta debba fare ricorso alle proprie energie interiori per riuscire a migliorarsi, ciò senza l’utopia del carcere imbonitore , ma “nonostante il carcere”.
L’esperienza, anche dentro un penitenziario, è lo spazio dove nasce la necessità di cercare ripetutamente dei chiarimenti, attraverso l’incontro e il confronto, per comprendere che rieducare, risocializzare, sarà possibile solo se la società accetterà di diventare parte attiva di questo percorso, se essa stessa diverrà parte essenziale di una vera azione sociale.
Si tratta di prendere coscienza tanto dei problemi quanto del fatto che per risolverli, ci sarà bisogno di una cultura nuova, che permetta, a chi vive a contatto diretto e quotidiano con il recluso, un modo nuovo di concepire e mettere in pratica la propria professionalità e le proprie responsabilità.
Inutile negarlo, ancor oggi in questa sorta di terra di nessuno, permane uno sbilanciamento strettamente custodialistico-prisonizzante, antitetico allo spirito e alle attese della legge stessa.
Questa prigione è davvero un mondo che vive del suo, costretto a rigenerarsi di se stesso?
Il carcere è società, come ho già detto tanti anni fa, e lo ripeto ancora adesso con maggiore intensità, perché esso ha ” un prima, un durante e un dopo”.
Come può una collettività non avere consapevolezza che è suo preciso interesse, occuparsi di ciò che avviene dentro un carcere, perché volenti o nolenti, esiste un”dopo”, e questo dopo positivo, dipende inderogabilmente da un “durante” solidale costruttivo, e non indifferente.
Passaggi questi che dovrebbero risultare il collante per quel ripensamento culturale che alimenti attenzione solidale tra comunità e carcere.
Perché ho posto quell’accento iniziale? Durante un dibattito un cittadino ha indicato il carcere come un contenitore di mostri, quella affermazione mi ha fatto pensare, perché di giorno in giorno si scopre che il mostro di turno è un magistrato, un avvocato, un politico, un ministro, un poliziotto, il salumiere, il lattaio, uno come noi, perché tutti possiamo sbagliare, oggi più che mai siamo tutti a rischio.
Di seguito quel cittadino ( con cui è nata una stima reciproca mantenuta nel tempo) ha affermato che lui è certo di non sbagliare mai, che lui non ha e non avrà mai a che fare con prigioni e detenuti.
Nessun uomo è un alieno, perché tutti, nessuno escluso, partecipiamo alla comune umanità, persino in quella più derelitta e sconfitta relegata in un carcere, dove non esistono uomini vincenti, ma soltanto uomini sconfitti.
Più rileggo queste ultime righe, più mi convinco dei molteplici legami che rendono solidale la società al carcere, nella necessità di renderci conto che il problema della Giustizia e del Carcere riguarda tutti, e tocca tutti da vicino, a tal punto che farsene carico non è una questione di pura pietà e altruismo, bensì un vero e proprio interesse collettivo.

 
 
 
       

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