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CANDELABRI DI PLASTICA...
VERSO UNA RELIGIONE DELL’USA E GETTA

Luglio 2006
di Heracles

Stanca l’ostentata pretenziosità, incosapevole volgarità e la maniacale cura di tante ville, villini e villette e villette a schiera che affollano il nostro territorio. Più ancora offende la rovinosa incuria in cui versano a volte gli edifici sacri. “Una cristianità che lascia crollare i suoi monumenti e trascura i suoi luoghi santi è una cristianità in decomposizione” (M. Couturier). Non si allude qui alle rovine delle cattedrali di antichi centri di potere oggi abbandonati (Castelseprio, Lomello, Aquileia…) ancora cariche di fascino e di mistero, solitari e potenti testimoni della fede di epoche lontane. Si parla piuttosto dei molteplici edifici sacri di cui la nostra terra è costellata, abbandonati o peggio, come in questo caso, deturpati da brutali riutilizzi che ne offendono la dignità, provocano smarrimento, costituiscono offesa nei confronti di chi vi ha espresso la propria fede, profuso lavoro e fatica e, a proposito di ricchezza e denaro, sono anche indecente insulto alla povertà. Per quanto piccoli e semplici, se già il loro abbandono è triste (nulla è eterno e le cose cambiano…), la loro profanazione è sacrilega. Se queste due parole hanno ancora senso e diritto d’uso. Non si capisce in nome di quali senso o necessità questo possa succedere nel nostro ricco mondo, certo con l’avvallo di chi sul luogo è chiamato a essere custode del sacro. E vengono alla mente anche quella miriade di edicole votive e immagini che rendono sacro l’intero territorio, e ancora gli innumerevoli oggetti dismessi (candelabri, bacinelle, vasi, ex voto, reliquiari …) che hanno fatto la fortuna di avidi rigattieri o giacciono polverosi in armadi di sacrestie o dentro malandati scatoloni in depositi e soffitte, mentre gli altari vengono arredati con paccottiglie varie prodotte industrialmente e acquistate a caro prezzo da solleciti mercanti di cose sacre. Come se la nostra fede non avesse radici o ciò che è vecchio sia privo valore e conti solo il nuovo, fatto in serie, comodo, pratico, lucido, elettrificato e plastificato. In attesa dell’usa e getta. Cosa penso? Penso che intanto non bisognerebbe rassegnarsi all’abbandono di questi oggetti. Se accantonamento e disuso deve essere che sia perlomeno dignitoso. Anticamente altari e oggetti sacri, che solo ai sacerdoti era possibile toccare, potevano essere distrutti solo con il fuoco. Noi abbiamo inventato i musei diocesani, che sono un’ottima cosa, da conoscere e visitare per ricordare (e imparare)…
Gli edifici, frutto di fede e devozione, meritano la nostra cura e attenzione perchè consentono il contatto con la tradizione di cui siamo figli e con una fede forse meno colta, ma certo più confidente della nostra: vanno certo protetti dalla superficialità come dalla arrogante praticità (privata, pubblica e clericale). Se l’abbandono è inevitabile, cento volte meglio la nobile solitudine del rudere che ritorna alla natura con edere e muschi e nidi di uccelli (almeno ci sarebbe ancora spazio per la contemplazione) di qualsiasi rozzo riutilizzo di comodo. Eppure una cerimonia all’anno, un piccolo pellegrinaggio (perché non in questi luoghi?) non sarebbero sufficienti a ridonargli quel poco di vita autentica, salvaguardando anche in noi quel prezioso senso del sacro che pare ridotto a lumicino nel clero e nei laici? Che sia questo il vero problema?

Heracles

 
 
 
       

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