
di Antonio Isacco
Luglio 2007
UNGERE LE RUOTE
“In tempi men leggiadri e più
feroci / i ladri si appendevano alle croci / In tempi men feroci
e più leggiadri / si appendono le croci in petto ai ladri”,
scrisse velenosissimo nel 1895 Felice Cavallotti. Ce l’aveva
con Francesco Crispi, contro il quale aveva scatenato l’iradiddio
accusandolo d’aver venduto a un faccendiere, una onorificenza
in cambio di una bustarella. I confini tra la correttezza e la
cedevolezza tangentara sono sempre stati sottili. Ci sono tantissimi
aneddoti, fatti, citazioni e dotti rimandi filosofici e letterari,
che narrano le vicende della tangente, della raccomandazione,
della concussione e insomma della politica mercenaria. Le eccezioni,
troppo spesso, sembrano non i ladroni, ma le persone perbene.
“A chi importa se Giulio Cesare era un ladro?”. Il
tempo non solo placa i dolori, ma cancella le ombre. Basti leggere
le Storie di Sallustio: “Ognuno afferrava quello che poteva,
strappava, rubava. Tutto si divise in parti e quelli dilaniavano
lo Stato che stava tra di loro. Lo Stato veniva governato dall’arbitrio
di pochi”. Lui compreso, se è vero che, avendo “
una carica di rilievo in provincia”, ne approfittò
“con la concussione e le esazioni, e lo fece a tal punto
da scandalizzare persino i suoi contemporanei, che pure erano
avvezzi a tali usanze”. Mandato a processo, se la cavò
grazie alla protezione di Cesare, “che intervenne presso
i giudici”. Un piacere che Sallustio ripagò comperandogli
una villa vicino a Tivoli. Nelle cose che Dio raccomanda a Mosè,
si legge nell’Esodo, c’è già tutto:
“Non accettar regali, poiché il regalo acceca anche
coloro che hanno la vista chiara e rovina le cause giuste”.
Ma l’ammonimento non è mai stato preso troppo sul
serio. E sono stati in tanti, piuttosto, a fare propria la massima
del filosofo cinese Chuang-Tzu “Ruba un chiodo e sarai impiccato
come malfattore; ruba un regno, e diventerai duca”, o le
parole di sfida di Demostene: “Invidiare chi si lascia corrompere,
ridere se lo riconosce apertamente, assolvere chi è stato
colto in flagranza di reato, odiare chi vorrebbe metterlo sotto
accusa”. Parole riprese, un paio di millenni dopo, da Giuliano
Ferrara: “Ho sempre preferito la merda dei corrotti al sapore
dolciastro dell’ipocrisia”. C’è il cinismo
di Robert Walpole, il potentissimo ministro britannico che nel
Settecento, a un amico che gli confidava come “nessun deputato
sfugge alla venalità più bieca”, rispose:
“E vieni a dirlo a me che ho il monopolio della tariffa?
Ti dirò che nella mia bottega conservo una droga prodigiosa
che m’aiuta sempre a sedare i bollenti spiriti dell’opposizione:
la sterlina”. E se è vero, come scriveva Ennio Flaiano,
che il nostro è “un popolo di santi, poeti, navigatori,
nipoti e cognati”, certo non siamo i soli sul pianeta a
tener famiglia. Certo, c’è chi teorizza, da sempre,
che la stessa corruzione è un motore della società.
Lo sosteneva agli inizi del Settecento Bernard de Mandeville nella
celebre Favola delle api, spiegando come il governo ideale sia
un governo cinico a capo di “truffatori, parassiti, mezzani,
borsaioli, falsari, ciarlatani, indovini, chiacchieroni”.
Lo sosteneva qualche decennio fa Vittorio Gassman nel film In
nome del popolo italiano: “La corruzione è l’unico
modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative.
La corruzione, possiamo dire paradossalmente, è essa stessa
progresso”. Sarà. Quanto di vero e di possibile,
in riferimento agli anedotti predetti, possiamo alludere riferendoci
al nostro Comune? Dimenticavo (ma non troppo), i nostri (?) “massimi”
Amministratori comunali hanno un motto: “FATTI NON PAROLE”!
Infatti li vediamo tutti, eccome li vediamo i “FATTI”!
Più che: “FATTI NON PAROLE”! Ci propinano quotidianamente:
“FATTI E MISFATTI”! Ma ci dobbiamo proprio rassegnare?
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