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Una Prof in carcere

Luglio 2008
Di Enrico Viganò

ERBA “Forse sono l’unica che ha fatto di tutto per entrare in carcere”. Manuela Rigamonti, di Erba, dopo aver insegnato per quasi 30 anni nelle scuole “normali” (14 anni nelle materne, 6 anni nelle elementari e sette nelle medie), ha scelto di andare a insegnare al “Bassone”, il carcere di Como. “Entrare in carcere” per Manuela Rigamonti non è stato facile: “Inoltravo la domanda, ma c’era sempre un perché che me lo impediva”. Allora ha frequentato l’Università per stranieri di Siena per conseguire, dopo quella in materie letterarie, anche la laurea in lingua e cultura italiana. “Così ho potuto realizzare – dice – il sogno della mia vita: insegnare italiano storia e geografia in una casa circondariale ai carcerati, agli ultimi, ai più poveri tra i poveri. Al mattino quando “entro in carcere”, sono felicissima. E non chiedo altro”.
Manuela da piccola voleva fare l’assistente sociale. Ha iniziato a fare la prof degli “ultimi” insegnando agli immigrati dell’Associazione Arcobaleno di Milano, legata al Movimento dei Focolari. Ama le lingue e le culture straniere: conosce il russo, l’arabo e l’ebraico oltre all’inglese e tedesco. “Conoscere le lingue facilita l’approccio con l’immigrato, l’emarginato – afferma la prof - Noi dimentichiamo che il povero è uno come noi. E’ vero: è un’altra persona, ma accetto la sua diversità. S. Paolo parla di farsi tutto a tutti” .
Tra gli alunni non ci sono i “suoi” concittadini, Olindo Romano e Rosa Bazzi, accusati della strage di Erba del 11 dicembre dello scorso anno, in cui furono trucidate quattro persone (una è salva per miracolo): sono rinchiusi nel settore di massima sicurezza. Ci sono, però, tanti altri che vogliono conseguire il diploma di terza media, perché, dicono, “quando usciamo di qua, non vogliamo più rientrare”, e “per sentirsi una persona normale” . “Sono convinta che la rieducazione di chi ha sbagliato deve partire dall’istruzione – spiega Rigamonti - Tanti detenuti sono vissuti in famiglie in cui la cultura non era ritenuta di alcuna importanza. Noi docenti (al “Bassone” sono in sei: quattro alla “media” e due alla “alfabetizzazione” – n.d.r.) lasciamo parlare i nostri alunni, in modo che raccontino il loro vissuto. A noi non interessa perché sono finiti in carcere, non li giudichiamo, ma facciamo sentir loro che sono persone”.
Adesso che la scuola è terminata, Manuela non va in ferie. Ritorna da loro come volontaria: “Il periodo estivo è quello più difficile per i detenuti – spiega Manuela – e io non riesco a lasciarli soli. In accordo con la direzione del casa circondariale, programmiamo diverse attività. Tre anni fa al Meeting di Rimini erano stati esposti alcuni nostri lavori manuali e letterari. Per due anni di seguito, dopo aver frequentato un corso di musica (Manuela è anche collaboratrice di una rivista di critica musicale – n.d.r.), abbiamo inciso un CD dal titolo: “Mi sono alzato in volo”, con canzoni composte dai detenuti stessi. Quest’estate, invece, cercheremo di spronarli a scrivere dei racconti, che poi raccoglieremo in un opuscolo”.

 
 
 
       

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