Don
Antonio e i suoi primi 40 anni
Luglio 2008
di Roberto Molteni
INTERVISTA A DON ANTONIO FAZZINI NEL 40° ANNIVERSARIO DI
ORDINAZIONE SACERDOTALE

Lo scorso mese di giugno la Parrocchia di
Rogeno ha vissuto un sentito momento di festa in occasione del
40° anniversario di ordinazione sacerdotale e del 10°
anno di permanenza a Rogeno del suo Parroco D. Antonio Fazzini.
La festa, organizzata assieme dai gruppi e dalle associazioni
del paese, ha voluto essere soprattutto un segno di riconoscenza
e gratitudine per il servizio pastorale svolto da D. Antonio nella
nostra comunità.
Pur essendo a Rogeno ormai da tanti anni, quanti di noi possono
però dire di conoscere a fondo il Sacerdote che sta spendendosi
ogni giorno per noi? Cerchiamo di farci raccontare proprio da
D. Antonio qualcosa in più della sua vita: il suo essere,
i suoi sogni e le sue aspirazioni, la sua esperienza di fede,
per poter essere ancora di più in comunione con Lui.
D. Antonio, 40 anni fa sei stato ordinato sacerdote; come è
nata in te la fede e la vocazione sacerdotale? Qualcuno ti ha
aiutato a compiere questa scelta di servizio verso gli altri?
C’è stato un episodio che ha cambiato la tua vita?
Nessuna folgorazione mistica, nessuna caduta da cavallo all’origine
della mia vocazione sacerdotale; semplicemente la storia di un
ragazzino nato e cresciuto in una famiglia profondamente cristiana,
in un ambiente in cui “le impronte” di fede segnavano
ogni passo del vivere: dal lavoro faticoso di montagna, alle vicende
quotidiane intessute di riferimenti a Dio ed alla Sua Provvidenza,
ai luoghi ed ai momenti di vita di una comunità davvero
solidale. Tutto questo è stato, ed è per me ancora
oggi in certa misura, qualcosa che mi ha forgiato e plasmato,
mi ha dato quei contenuti e quei riferimenti che fanno l’ossatura
di una persona. E’ da lì che è partita anche
la vocazione al sacerdozio di un ragazzino che, facendo il chierichetto,
si sente attratto dalle “cosa che fanno i preti”.
Da lì la decisione, confortata ed incoraggiata dai miei
genitori, di lasciare (uno strappo dolorosissimo) il mio paese
e di entrare in seminario.
Prima di essere chiamato a Rogeno, quali altre esperienze di servizio
hai vissuto?
I primi 10 anni di sacerdozio li ho trascorsi svolgendo il mio
ministero in Valsassina (dal- ’68 al ’78) come parroco
di una delle parrocchie più piccole della Diocesi (Parlasco)
e come coadiutore del Prevosto di Primaluna. Erano gli anni “caldi”
del post ’68 e le tensioni drammatiche di quel periodo (terrorismo,
contestazione studentesca, lotte operaie) sono state un duro banco
di prova anche per i preti. Di quegli anni anche le belle esperienze
di campeggio ai piedi del Pizzo dei tre Signori.
Dal 1978 al 1985 il mio lavoro sacerdotale si è svolto
nella parrocchia di Inveruno, un grosso borgo vicino a Legnano.
Gli oratori erano ancora distinti ed io avevo, in particolare,
la responsabilità dell’oratorio femminile. Lì,
oltre ad interminabili ore passate in confessionale, ricordo soprattutto
le gioiose domeniche in un oratorio strapieno.
Dal 1985 al 1990 si cambia completamente registro: sono stato
inviato a Milano (zona città studi, istituto dei tumori)
in parrocchia dei SS. Nereo ed Achilleo, una parrocchia dalle
dimensioni enormi, dove l’anonimato, la solitudine degli
anziani, la difficoltà di rapporti veri, le prime grosse
presenze di immigrati creavano problemi gravi. In un contesto
così difficile la persona del prete diventava spesso per
tanta gente l’unico punto di riferimento vero.
Dal ’90 altro passaggio: da Milano ai confini d’Italia
come parroco di due parrocchie vicino alla Svizzera, Corrido e
Val Rezzo, distanti tra loro una decina di chilometri, paesi di
montanari e di frontalieri. E lì, per otto anni, ho fatto
la spola tra queste due comunità, insegnando il catechismo,
restaurando chiese che poi, normalmente, erano semivuote, inventando
feste per cercar di coinvolgerli in una maggiore dimensione comunitaria.
Quando nel 1998 Mons. Merisi, Vicario Episcopale di Lecco, mi
chiese di succedere a D.Alfredo per la cura pastorale di Rogeno,
accettai volentieri.
E da allora sono qui.
Il 1° settembre ’98 è giunto a Rogeno in una
comunità ancora scossa per la tragica morte di D. Alfredo
Bargigia; come è stato l’impatto con il nostro paese?
Non ho avuto alcuna difficoltà ad entrare nella vita della
comunità parrocchiale di Rogeno. Si certo, sono inevitabili
i confronti tra figure diverse di preti. Ma sono profondamente
convinto e consapevole che il prete “va misurato”
non in base ai criteri di simpatia od antipatia, di capacità
o meno sul piano manageriale o, comunque, su criteri prettamente
umani ed utilitaristici. Se ci mettiamo su questo piano sbagliamo
tutto e creiamo dei grossi equivoci e delle attese che, presto
o tardi, andranno deluse. L’unico criterio serio e valido
per “misurare il prete” è quello che ci fa
considerare il “mistero” di cui il prete è
portatore; quel mistero che è posto nelle sue mani, a prescindere
dalle sue capacità, dalle sue doti ed anche dalla sua santità
personale: il prete è soprattutto uomo, posto in mezzo
agli uomini, per essere interprete e portatore delle “cose
di Dio”. Così il prete deve essere considerato, così
il prete deve sentirsi ed essere, al di là di ogni considerazione
ed apprezzamento umano.
Sei soddisfatto di questi 10 anni trascorsi tra noi? Come pastore
di questa comunità dove vorresti guidare il gregge che
ti è stato affidato?
La mia soddisfazione personale nei confronti della comunità
di Rogeno conta poco: ciò che conta, e ciò che io
vorrei per questa mia comunità, è che sia quella
comunità che il Signore vuole. E , quindi, una comunità
che sente la sua fede e vive la sua religiosità non come
una bisaccia ingombrante piena di limiti o di imposizioni, ma
come l’eredità più bella e più preziosa,
da accogliere con orgoglio, da possedere e valorizzare per farla
diventare sapienza di vita. Una comunità che vive l’incontro
con il Suo Signore come il momento più bello e più
necessario, quello che da alla vita il suo giusto sapore. Una
comunità che sa di essere comunità e vuole costruirla,
questa comunità, con pazienza ma anche con determinazione.
Quale realizzazione ti sta particolarmente
a cuore? Ti senti sostenuto nei tuoi progetti?
Anche ad un prete è permesso sognare; io vorrei comunicare
tre piccoli (o grossi) sogni:
Sogno delle celebrazioni liturgiche belle, solenni, gustose che
siano la soglia che ci introduce al mistero di Dio; la sciatteria,
l’improvvisazione, il pressappochismo non possono essere
il clima della liturgia. Vorrei che tutto nelle nostre celebrazioni,
dal servizio dei chierichetti, dei lettori, del coro desse il
segno di una cosa grande che lascia stupiti e che tutto aiutasse
a cogliere la bellezza delle cose di Dio.
Sogno un oratorio dove i ragazzi trascinano le loro famiglie per
renderle partecipi della bellezza di aprirsi agli altri, del vivere
insieme la gioia della festa, del costruire assieme piccole e
grandi cose. Sogno dei laici che, un bel giorno, mi vengano a
dire: “tu fatti da parte e pensa solo a fare il prete che
a queste incombenze (amministrazione economica della Parrocchia,
gestione dell’asilo parrocchiale ecc.), ci dedichiamo noi”
Come è nata in te la passione per la montagna? E per il
canto? Hai qualche passione che ancora non conosciamo?
Vi sfido a trovare una persona di Premana che non sia appassionata
della montagna e del canto.
Mi appassiona la montagna da gustare nella fatica, nel silenzio,
nella contemplazione e nella solitudine. Non sono un fanatico
di sfide estreme, mi piace il passo cadenzato ed il respiro tranquillo,
mentre la mente si libera.
Chi è Dio per te? In che modo mantieni viva e vitale la
tua fede? Come trovi la forza di spenderti ogni giorno per gli
altri?
S. Agostino disse: “con voi sono cristiano, per voi sono
prete”. Il prete dunque è un uomo che, come tutti,
deve sempre ritrovare le ragioni della sua fede e rinnovare il
suo si di obbedienza e di amore. Per spegnere il fuoco della fede
non c’è bisogno di buttarci sopra un secchio d’acqua,
basta dimenticarsi di alimentarlo, questo fuoco, e si spegne da
sé. Anche il prete può perdere la fede e diventare
un “mestierante” delle cose di Dio. Per me è
fondamentale e bello ritrovare ogni giorno “colui che si
è fidato di me ponendomi nel ministero” e poter dire
ogni giorno “so in chi ho posto la mia fiducia” (S.
Paolo).
Alcune immagini della celebrazione liturgica.



















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