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di Antonio Isacco
Maggio 2005

NO GLOBAL: NON STANNO DALLA PARTE DEI POVERI

Il pianeta Terra va verso l'autodistruzione, ci ammonisce l'Onu e l'annuncio è inevitabilmente destinato a rilanciare potentemente i temi cari ai movimenti antiglobalizzazione, a fornire loro nuovi argomenti. Ma le soluzioni possibili restano più che mai lontane. Assai spesso i movimenti suddetti tendono a celare piuttosto che a svelare le intricate contraddizioni che attraversano la nostra realtà, rendendola così difficilmente modificabile.
C'è un caso emblematico delle contraddizioni: Josè Bovè. E' un agricoltore francese diventato una vera e propria bandiera del movimento no global da quando prese d'assalto un negozio Mc Donald's in nome della genuinità dei prodotti agricoli della Francia, della sua cucina, della tradizione nazionale francese. Bovè e i suoi amici no global si considerano difensori di tutte queste ottime cose contro i tenebrosi disegni delle grandi multinazionali (naturalmente americane), le quali vorrebbero imporre a tutto il mondo i loro alimenti preconfezionati, le loro sementi geneticamente modificate, insomma i loro prodotti appestati da tutti gli additivi e le schifezze che la chimica riesce oggi a mettere sul mercato e sulle nostre tavole.
Bovè e i no global, sono riusciti a far credere che questa loro battaglia in difesa del cibo genuino diciamo così, sia perfettamente coincidente con quella dei poveri del pianeta, delle moltitudini disperate del Terzo mondo, anch'esse vittime del globalismo Usa.
Che la battaglia in difesa delle sane tradizioni agricolo-alimentari degli europei e quella in difesa dei dannati della Terra sia la medesima battaglia.
Peccato che le cose non stiano affatto così, stiano anzi nel modo quasi esattamente contrario. L'agricoltura europea, dunque anche il "contadino" Bovè, vivono da decenni all'ombra di un massiccio sistema protezionistico di sussidi diretti dell'Unione e di alti dazi d'importazione al fine di sostenere i redditi degli agricoltori. Ciò obbliga i consumatori europei a pagare complessivamente il loro cibo oltre il 40 per cento più caro rispetto al prezzo del mercato mondiale.
Un identico sistema di sovvenzioni e di dazi protegge l'agricoltura degli Stati Uniti e quella del Giappone. Sicchè in totale l'intero mondo sviluppato spende ogni anno la bella cifra di 350 miliardi di dollari in sussidi ai propri agricoltori.
In questo modo le esportazioni agricole del Terzo mondo si scontrano contro una muraglia invalicabile. Le Nazioni Unite calcolano a 50 miliardi di dollari il costo in mancate esportazioni che i Paesi poveri sono costretti a sopportare per il protezionismo agricolo euro-nippo-americano.
E' più o meno l'equivalente dell'aiuto che i Paesi ricchi danno annualmente ai poveri. In altre parole, ci ripigliamo con la sinistra quel che diamo con la destra. Cosa dicono i no global e i tanti amici (a parole) del Terzo mondo? Perché invece di fare le manifestazioni davanti ai negozi di McDonald's non pensano di farne qualcuna anche davanti alle associazioni degli agricoltori o davanti alla sede della Commissione europea?
Sono domande retoriche: manifestare contro le supposte malvagità di pochi è facile, prendersela contro i privilegi di molti e magari di noi stessi, sarà meno ipocrita, ma di certo è anche molto meno facile.


 
 
 
       

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