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La minaccia del relativismo religioso

Maggio 2005
di Don Paolo

''Difendiamo l'integrità della dottrina cattolica. Il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie". Queste sono le parole pronunciate da Joseph Ratzinger durante l'omelia alla messa "Pro eligendo Romano Pontifice" che si è svolta in apertura di Conclave nella Basilica vaticana. Cosa teme il papa Benedetto XVI?
"Che cosa è la verità?" (Gv 18,38). Pilato non si rende conto che sta rivolgendo la domanda sulla verità alla Verità stessa che sta davanti a lui, in veste di imputato. Gesù tace, e a Pilato non interessa poi tanto avere la risposta. Ai nostri contemporanei, la domanda "Quid est veritas?", interessa ancora?
Oggi c'è una crisi della verità, sia quella a cui conduce la ricerca razionale, sia quella che ci viene dalla fede. "Tutte le religioni - si sente dire - sono uguali, e non esistono criteri seri e validi per distinguerle o per affermare che una è più o meno "vera" delle altre". Questo relativismo porta a fare una mescolanza di temi religiosi presi un po' da una religione e un po' da un'altra, secondo i bisogni del momento, costruendo così una religione "su misura", diremmo, "personalizzata". Si assiste, in questo modo, al sorgere di un "individualismo religioso", paradossalmente, senza bisogno di religioni.
Le cause di questa situazione sono più culturali che religiose, sono la conseguenza di una cultura denominata "postmoderna". Questa cultura ci avvolge, la respiriamo senza accorgercene. Si vive sempre più nella percezione di una "non possibilità di conoscenza" per quanto riguarda le verità e i valori essenziali: non esistono più né il centro di riferimento, né la fondazione razionale delle asserzioni: i valori sono diventati sempre più "sensazioni", mentre il concetto stesso di realtà e di verità si è frantumato in mille cocci.
Impressiona come la corrente New Age dica: "Se vuoi sapere se una opinione o una teoria è vera, cerca di credervi e poi osserva se produce per te delle esperienze soddisfacenti". Si è disposti persino a rinunciare alla propria dignità di esseri razionali pur di mettere insieme mosaici di verità primitive in cui ancora poter credere e con le quali provvisoriamente costruirsi l'esistenza a livello di sentimenti e di ideali. Il prezzo che si paga in una concezione del genere è altissimo perché, in assenza di riferimenti sicuri, ci si trova prima o poi in balìa di pericolose frustrazioni.
Riguardo alla conoscenza di Dio in una tale cultura: "Dio non è conosciuto, non è compreso, è usato. La coscienza religiosa non domanda di più. Esiste Dio realmente? Come esiste? Che cosa è? Sono tutte questioni irrilevanti. Non Dio, ma la vita, un più di vita, una vita più ampia, più ricca, più soddisfacente, questo è in ultima analisi il fine della religione, il vero impulso religioso".
Quid est veritas? Nell'attesa spasmodica e utopisca della Nuova Era, noi cristiani sappiamo che la risposta a questa domanda è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell'intimo di ogni uomo, come dice il salmo 4,7: "Molti dicono: "Chi ci farà vedere il bene?". Risplenda su di noi, Signore la luce del tuo volto". La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo, "immagine del Dio invisibile" (Col 1,15), "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14): Egli è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6).
Per questo la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell'uomo, in particolare ai suoi interrogativi religiosi e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso.

 
 
 
       

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