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Stefano Ratti - Fango

Maggio 2008

Stefano Ratti (nato nel 1966) ha vissuto fino all’età di ventitre anni in Brianza, a Casletto di Rogeno, un paese affacciato sul lago di Pusiano. Dopo di che si è trasferito a Suello, vicino a Lecco (dove lavora come Operatore Socio Sanitario), ai piedi del monte Cornizzolo. Scrive per passione, alternando la propria attività creativa tra racconti, soggetti, sceneggiature per fumetti, recensioni e altro. Collabora con riviste, siti e fanzine come Fame, Fatece Largo, Underground Press, La Gazzetta di Clerville, Ink, Colorado Comics, Il Caffè di Monza, La Goccia Briantea, Cartaigienica, Underground Press. Ha scritto inoltre le storie di Odisseo, una serie di racconti che hanno per protagonista un Ulisse adolescente, trasformata in fumetti con il supporto grafico di vari disegnatori esordienti. Ha composto e sceneggiato le strisce umoristiche di Diabolic (un albo monografico è uscito nell’aprile del 2005 per le Edizioni Fame Comix). Il racconto col quale si presenta ai visitatori di www.patriziopacioni.it è compreso nell’antologia “Nulla è per sempre” (per le stampe di Giulio Perrone Editore - vds. servizio su ArtDiscount in questo stesso aggiornamento)

Fango

Fuori piove. Odio la pioggia. La pioggia trasforma tutto in fango. Non mi piace il fango ma …ora il fango ricopre le mie scarpe, il mio vestito, il mio viso, la mia anima. Seduto su un pavimento sporco e impolverato, al quarto piano di questo palazzo diroccato, attraverso ciò che rimane di una vetrata, guardo la pioggia cadere all’esterno. Forse un tempo, questo tugurio che perde pezzi di intonaco e mattoni, era un ufficio, può darsi, non importa. Poco lontano da me c’è della cenere di un falò acceso chissà quando e chissà da chi. Probabilmente il posto ha ospitato qualche barbone, qualche poveraccio in cerca di rifugio, vai a sapere. La pioggia scende lentamente nel buio della sera, illuminata dalle tenui luci della strada. La guardo e penso a ciò che è successo meno di un ora fa, a ciò che ho fatto. Ricordo quando il fango non mi sporcava ancora. Ricordo. Avevo un appuntamento con un certo Zanni, sapevo solo che si chiamava così, sempre se era il suo vero nome. Zanni mi offriva un lavoro, chiamalo lavoro. Ci incontrammo all’aperto, con la pioggia che scendeva sulle nostre teste, in un vicolo dal quale si accedeva alle cucine di un ristorante, un vicolo che puzzava di cibo andato a male, di marcio, a causa dei cassonetti dell’immondizia che vi erano depositati ed era pieno di terriccio che la pioggia aveva trasformato in fango. Zanni si presentò con addosso un largo impermeabile e un cappello a falde larghe, quasi a nascondergli il viso. Esitò un poco, poi tolse dalla tasca dell’impermeabile un foglio con scritto il nome e l’indirizzo di una persona, la sua voce fu perentoria, decisa. “E’ semplice, vai a questo indirizzo e ti fai dare i soldi che mi deve questo pezzente. Se non dovesse darteli gli dai una lezione, un avvertimento. Sai cosa intendo”. Si, sapevo cosa intendeva. In cambio ti guadagni 300 euro, senza fatica” continuò. “Va bene” risposi. Non feci altre domande, non mi interessava fare altre domande. Zanni estrasse dalla tasca tre biglietti da 100 €. “Se fai un buon lavoro ce ne saranno altri” disse tranquillamente, accennando un sorriso. Presi i soldi, li misi nella tasca dei pantaloni e corsi a guadagnarmeli, i soldi…non i pantaloni. Corsi nella strada, mentre la pioggia mi bagnava la faccia pungendomi con le sue gocce finissime. Le mie scarpe schiacciavano il fango del vicolo spruzzandolo e sporcandosi. “Maledetto fango” pensai irritato. Potrei dire che accettai quel lavoro perché ero disoccupato, sono disoccupato. Perché non avevo la prospettiva di altri lavori. Potrei trovare mille scuse per giustificare la mia decisione ma…niente può giustificare quello che avvenne dopo. Arrivai alla casa del tizio che doveva dei soldi a Zanni. Era una casa costruita trenta, quarant’anni fa. Non c’erano segni di ristrutturazione e la pioggia cadeva a terra violentemente dalla grondaia mezza bucata dall’usura del tempo e scivolava lungo le crepe delle pareti esterne. Il tipo abitava al piano terra. Guardai all’interno della finestra che dava sulla strada. Spiai attraverso le tendine l’ombra che si muoveva all’interno. Si sentiva il suono del televisore acceso su una partita di calcio. Bussai alla porta, quasi con educazione, senza esagerare. Il tipo si alzò dalla poltrona e venne ad aprire lamentandosi che non si dovrebbero rompere le scatole quando uno sta guardando in santa pace una partita in televisione, soprattutto mentre sta per tirare un calcio di rigore la propria squadra. Aprì la porta lamentandosi e con il viso scocciato. L’espressione del viso cambiò in un attimo appena mi vide. La paura disegnò il suo volto. Intuì il motivo della mia visita e anche se non mi aveva mai visto o conosciuto, capì. Cercò di chiudere la porta, ma con una spallata la aprii violentemente facendo cadere l’uomo sul pavimento di casa sua. Era un uomo basso, piuttosto grassoccio e spaventato. Questo mi riempì di coraggio. CORAGGIO? Ero molto più grosso di lui, più giovane. Mi avvicinai a lui minaccioso, urlando per spaventarlo ulteriormente. Come se ce ne fosse bisogno.
“Zanni vuole i suoi soldi!” “Gli ridarò tutto” rispose con voce tremante e rialzandosi a fatica da terra. “Che mi dia ancora del tempo” supplicò “Gli ridarò tutto, lo giuro”. “Mi dispiace, ma ho degli ordini” dissi, prima che il mio pugno si stampasse sulla sua grassa faccia e lo facesse cadere contro il tavolino del salotto. La caduta venne accompagnata dalle urla di gioia di un goal fatto nella partita che c’era in televisione. “Alzati grassone, la lezione non è ancora finita” urlai agitando il pugno, gonfiandomi di cattiveria, beandomi della paura dell’uomo. L’uomo però non si rialzava e appoggiato con la testa al tavolino restava immobile. Un attimo dopo, un liquido rosso e denso scese lungo la fronte e bagnò l’angolo del tavolino. L’uomo, con la testa aveva battuto violentemente contro lo spigolo del tavolo. Mi avvicinai a lui, incredulo. Gli alzai la testa con le mani. Gli occhi dell’uomo caddero all’indietro, persi e senza vita. Il liquido denso e caldo scivolò sulle mie mani. Urlai sconvolto e lasciai di colpo la testa dell’uomo che cadde pesantemente a terra. Corsi fuori dalla casa mentre un ennesimo goal veniva segnato alla televisione. Non volevo che succedesse una cosa simile. Non pensavo potesse succedere. No. Nella corsa caddi in una pozzanghera. L’acqua e il fango mi sporcarono il vestito, il viso. Guardai le mie mani sporche di sangue misto a fango. Il fango, il fango no. Urlai di orrore e corsi attraverso i vicoli e le fioche luci del quartiere. Le case sembravano schiacciarmi, le finestre accese sembrano accusarmi. Ora sono qui, in questo palazzo abbandonato. So che il fango mi cerca e io cerco di non udire la sua voce. Il fango però, insistente e terribile, arriva alle porte del palazzo, sale le sue scale rovinate, passa attraverso i muri usurati dal tempo, dalle finestre infrante. Il fango mi cerca, mi giudica, mi chiama: ASSASSINO. Il rumore del vetro frantumato si mischia con quello della pioggia. Solo un salto. Un salto dal quarto piano. Un salto attraverso la vetrata della finestra, ciò che ne resta. Il vetro mi taglia i vestiti, la carne. Volo, mentre il viso si bagna delle gocce di pioggia miste alle lacrime, al sangue. Cado verso il basso, insieme a pezzi di vetro. Pioggia, sangue, vetri, io. Un attimo che pare eterno e sono sul terreno, nel fango. Ho dolore ovunque. Ho del liquido in gola, denso, caldo. Alcuni pezzi di vetro si sono conficcati nel corpo, nella faccia. Faccio fatica a respirare. La pioggia cade incessante e leggera. A stento e con dolore alzo un braccio, guardo la mia mano, è sporca di fango. Cerco di muovere le gambe, non ci riesco…Dio non riesco più a sentire le mie gambe. Vedo delle ombre avvicinarsi, non riesco a distinguerle…non riesco più a vedere.Sento solo il gelo del fango nella mia schiena … maledetto fango … mal … d … f …

 
 
 
       

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