Una
goccia di Solidarietà
Marzo 2005
di Luisella Sala
Mi
trovavo a Milano il dicembre scorso, catapultata dalla provincia
per assaporare (anche se ne avevo poca convinzione) la piacevolezza
dell'atmosfera natalizia della città per eccellenza. Luci,
vetrine eleganti, opulente, pur non corrispondendo certamente
a quello che cercavo (amo particolarmente rifugiarmi nelle librerie)
avrebbero forse per un momento proiettato la mia mente verso la
"leggerezza del pensiero", allontanandomi così
temporaneamente dai gravami quotidiani che appartengono a quasi
tutti gli individui. In mezzo a quella confusione mi soffermai
ad osservare una povera donna anziana malconcia, seduta a terra.
Come tappeto aveva un cartone malridotto e sopra di esso un barattolo
arrugginito che serviva per le elemosine. Le persone sfrecciavano
vicino con noncuranza, come se non esistesse. Una recente trasmissione
televisiva li ha definiti "Gli invisibili". Risate,
voci amplificate dal desiderio di fare chiasso a tutti i costi
e fretta, tanta fretta per gli acquisti dell'ultima ora. La osservavo
già da alcuni minuti, quando decisi di avvicinarmi a lei
e accovacciandomi accanto iniziai a parlarle. La donna era stupita,
mi guardava teneramente con aria interlocutoria; forse ero il
primo contatto umano della giornata. Si esprimeva pur essendo
italiana con grave difficoltà, senz'altro dovuta all'età,
alla stanchezza ed a qualche complicanza psicologica data dalla
condizione disagiata. Mi ripeteva in modo confuso ed ossessivo
il nome di un farmaco, indicandomi con la mano destra e con gli
occhi sofferenti un evidente dolore alla testa, alle braccia,
alle gambe. C'era una farmacia lì accanto, mi allontanai
un attimo e tornai con le bustine di un comune anitidolorifico.
La donna mi sorrise in segno di assenso e solo in quel momento
mentre continuava il nostro curioso dialogo, mi resi conto che
le persone iniziavano a soffermarsi accanto a me, gettando nel
barattolo monetine tintillanti, una dietro l'altra e lanciando
almeno fuggevolmente uno sguardo di curiosità o affezione,
non saprei dirlo, verso la malcapitata. Mi accorsi che in quel
momento io rappresentavo per i passanti la normalità, quella
normalità che mediava il contatto tra loro e la diversità
dell'infelice. La mia presenza fisica rassicurante, ordinata,
i miei occhialini da intellettuale rappresentavano per loro sicurezza:
"la sicurezza della normalità". Si ha sempre
purtroppo timore, pregiudizio nei confronti di chi non è
uguale a noi. La non conoscenza induce paura, dubbio, perplessità
e spesso conduce all'emarginazione di tutto ciò che non
ci è noto. Ma chi sono i normali? Madre Teresa diceva che
i veri poveri sono quelli che non parlano mai forte, il loro è
un rantolo sottile.
Aggiungo io: "sempre pregno di dignità, comunque".
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