IL
FERRAGOSTO DEL “CORAZZIERE”
Storia di altri tempi
Marzo 2006
di Archimede Parravicini (detto: Dino)
Da Baggero di Merone a Buccinigo d’
Erba, sono pochi chilometri, percorrerli in bicicletta non richiede
molto tempo. Ma, negli anni ’60 del secolo scorso, le strade
non erano comode come ora: pochi tratti di asfalto alternati a
sterrato o, peggio, ad acciottolato.
Il “Corazziere” (ironico eufemismo, era alto un metro
e 54 centimetri) impiegava più tempo del necessario, anche
perché, caparbiamente, si ostinava ad usare una normale
bicicletta da viaggio, dal classico telaio con la canna e ruote
da 28 pollici. Gli sarebbe stato più agevole un mezzo consono
alla propria statura, ma ciò lo riteneva sconveniente alla
sua età. (Da molto oltre gli ‘anta). Dotarsi di una
bicicletta da ragazzino, lui, giammai! Perciò partiva,
da Baggero, di buon’ora, dopo aver ben sistemato, sul portapacchi
a molla, la borsa con la “schiscietta” del desinare.
Doveva recarsi a Buccinigo in una impresa edile che, da anni,
lo vedeva ogni giorno presente nelle sue mansioni di manovale.
Data la sua “altezza” non poteva certo sistemarsi
sul sellino: i piedi non arrivavano ai pedali. Perciò pedalava
a “ranzetta” come fanno i bambini con le biciclette
da adulti, introducendo una gamba fra il telaio e la canna. E’,
questo, un modo alquanto disagevole di viaggiare, ma tant’è,
il “Corazziere”, ormai vi era abituato, anche se lo
infastidivano, non poco, le occhiate di stupore di quanti lo incrociavano.
Bofonchiando e snoccolando, a bassa voce, continuava imperterrito
la propria strada.
In quegli anni, a Buccinigo, viveva un omone di nome “Luisin”
(un metro e 85 centimetri di altezza per 110 chili di peso) alpino,
cacciatore, bracconiere e gran bevitore. Assiduo avventore delle
osterie della zona, aveva stretto amicizia con il “Corazziere”
al suono del tintinnare dei calici, colmi di vino rigorosamente
rosso. “Luisin”, scapolo impenitente, abitava in una
vecchia casa alla periferia del paese, composta da: un ampio locale
al pian terreno, con funzioni di cucina, soggiorno e quant’altro.
Un grande tavolo al centro, con tovaglia floreale di tela cerata,
contornato da sedie impagliate, una credenza, una stufa a legna,
l’attaccapanni a muro e qualche trofeo di caccia, era tutto
l’arredamento; oltre ad una comoda “ottomana”
per il quotidiano pisolino. Per la notte vi era una camera al
piano superiore, cui si accedeva per una stretta scala di una
sola rampa. Naturalmente, l’uscio non era mai chiuso a chiave,
la stessa era riposta all’interno appesa ad un chiodo. Un
catenaccio mal lubrificato era l’unico ostacolo all’ingresso
e il “Corazziere”, ben conosceva le abitudini e la
casa di “Luisin”.
Usava, in quei tempi, (si fa ancora?) innalzare la cima di un
abete, (reminescenza celtica) sul pennone maggiore dell’impalcatura,
allorché, nella costruzione di una casa, si era giunti
alla posa del tetto. Era il segnale che si sarebbe festeggiato
con un gran cenone “il Ferragosto”. Così si
chiamava l’evento, anche se capitava in pieno inverno.
Fu così che, in una corta giornata di novembre avvolta
dalle prime brume invernali, ultimato il tetto della casa in costruzione,
il capomastro diede ordine di innalzare l’abete e incaricò
l’Agnese dell’omonima Trattoria di allestire il “Ferragosto”
per quante fossero le maestranze, nessuna esclusa. In tale occasione
il “Corazziere” mangiò e bevve, spronato in
ciò dai colleghi, tanto abbondantemente da rendersi presto
conto, all’uscita della Trattoria, di non essere in grado
di intraprendere il ritorno a Baggero con la bicicletta, ne pedalando
a “ranzetta”, ne tantomeno accompagnandola a mano.
Grazie, forse, ad un attimo di frescura che dissipò i fumi
dell’alcool, pensò bene di rifugiarsi per la notte
a casa di “Luisin”: il catenaccio scorse facile, l’ottomana
era libera, prese dall’attaccapanni un giaccone di fustagno
e accovacciatosi, bellamente si coprì dalla testa ai piedi,
cadendo presto preda di Morfeo.
All’Osteria di San Giuseppe, il mattino seguente, al secondo
o terzo bicchiere, “Luisin” racconta: “Ieri
sera, torno a casa sul tardi, apro l’uscio e la luce del
lampione in strada illumina l’angolo dell’ottomana
su cui vedo un mucchietto di stracci, mi avvicino, con una manata
li butto per terra e “porca bestia” salta fuori…
il “Corazziere”.
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