
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
marzo 2008
CHE COSA E’
LA FILOSOFIA
(Sesta parte)
Con quello di oggi iniziamo un esame delle diverse
sfaccettature che il significato della parola filosofia ha avuto
nel corso dei secoli.
La filosofia ai suoi primordi si caratterizzò come studio
degli eventi naturali e delle cause che li producevano. Ma quali
furono i motivi che spinsero l’uomo in questa direzione?
L’uomo si accinse allo studio della natura indubbiamente
per la necessità di soddisfare alcuni bisogni vitali quali
la fame, la sete, il curarsi dalle malattie, ecc., ma successivamente
il variegato e meraviglioso spettacolo dell’universo, l’alternarsi
del giorno e della notte, la costante regolarità nel succedersi
delle stagioni furono fenomeni naturali che attirarono la sua
attenzione e nacque così il desiderio di scoprire le cause
che stavano dietro tali fenomeni. Coloro che per primi si distinsero
in tali studi speculativi, cui univano pure una riconosciuta saggezza
morale, furono chiamati “Savi”, che erano in numero
di sette. Di loro abbiamo parlato in precedenza, come pure del
fatto che il primo a rifiutare tale appellativo fosse Pitagora,
che a Leonte disse di voler più modestamente essere chiamato
filosofo.

Da quanto esaminato in precedenza possiamo dire che la filosofia
è conoscenza in senso ampio e perciò anche la conoscenza
scientifica è filosofia, però la filosofia non è,
o per meglio dire, non è solo il complesso delle conoscenze
comuni o di quelle scientifiche, ma è un sapere fondamentale,
inteso nel senso etimologico “che è alla base, a
fondamento” di ogni altro sapere.
E’ pur vero che nella cultura greca vi era una definizione
più ristretta, pragmatica della filosofia ed era quella
che portavano avanti i Sofisti, i quali la identificavano con
l’educazione retorica e letteraria che loro, dietro lauto
compenso, impartivano ai rampolli dell’Atene bene che volevano
avviarsi alla carriera politica e avevano necessità di
cimentarsi nell’arte della parola per poter primeggiare
nelle dispute.
In Platone, invece, vi è una pressoché infinita
varietà di significati del termine filosofia, varietà
che spazia tra due estremi: da una parte la filosofia è
vista come “paideia”(educazione) e dall’altra
come “episteme”(scienza salda). Nel “Timeo”
e nel “Teeteto” si parla, infatti, della filosofia
come educazione in generale che viene conseguita attraverso la
ginnastica, la musica e le varie scienze. Si badi bene però
che non è questo tipo di educazione, per così dire
generica, che conferisce ai filosofi il diritto-dovere di governare
di cui Platone parla nel VII° libro della “Repubblica”,
ove troviamo il celebre mito della caverna, che simboleggia il
cammino necessario per elevarsi dall’opinione alla verità.
Questo mito rappresenta l’allegoria del processo della conoscenza
umana. La caverna è il nostro stesso mondo, è oscura
perché nel mondo sensibile manca la luce della verità;
la liberazione del prigioniero dalle catene indica l’azione
della filosofia che ci conduce dalla conoscenza imperfetta delle
cose sensibili a quella perfetta delle idee. In questo mito troviamo
la sintesi della concezione platonica della filosofia che ha certamente
una funzione politica, come volevano i sofisti, in quanto che
spetta ai filosofi educare e governare i propri simili, però
essi possono compiutamente adempiere questa funzione nella misura
in cui non si limitano ad educare se stessi in modo generico con
la ginnastica, la musica e le arti ma si esercitano alla conoscenza
delle idee attraverso lo studio di materie di portata generale
quali la matematica, la geometria e le altre scienze esatte che
sono propedeutiche alla dialettica, la quale si può considerare
come la capacità di salire attraverso vari gradi dall’apparire
sensibile fino alle idee immutabili, che sono oggetto dell’intelletto.
In sostanza per Platone i gradi della conoscenza sono quattro:
l’immaginazione,che prende le immagini sensibili isolate;
la credenza, che coglie gli oggetti che danno luogo a tali immagini;
la ragione discorsiva, che è conoscenza degli oggetti matematici
e, infine, l’intelletto che ha come suo oggetto le idee.
La vera filosofia è per Platone l’innalzamento dialettico
all’intelligibile, cioè “il volgere l’anima
da un giorno tenebroso ad un giorno vero”. Il filosofo,
una volta giunto a questa altezza, preferirebbe darsi alla contemplazione
ma egli è come “costretto” a governare e, proprio
in virtù di questo suo disinteresse, è il più
idoneo a ricoprire cariche pubbliche. Compito del filosofo è
allora quello di aiutare coloro che sono rimasti prigionieri nella
caverna a liberarsi dalle catene della sensibilità, anche
se costoro, probabilmente ritenendolo pazzo e pericoloso, cercheranno
di ostacolarlo o addirittura di sopprimerlo: è qui molto
chiara l’allusione al suo maestro Socrate, messo a morte
per le sue idee. Nella Repubblica la filosofia, dunque, sembra
assumere il significato di “possesso compiuto dell’intelligibile”,
cogliere la vera realtà non con gli occhi fisici, ma con
il terzo occhio, quello della mente ed il filosofo è colui
che, giunto a possedere l’intelligibile, si fa guida dei
propri simili per condurli alla sapienza. La filosofia ha,quindi,
una finalità squisitamente “politica”. In una
mia conferenza sul pensiero politico di Platone mi piacque proprio
sottolineare che l’impulso a filosofare probabilmente gli
derivò dal desiderio di tracciare i contorni di una repubblica
ideale in cui a un cittadino come Socrate fosse stato possibile
esprimere liberamente le proprie idee e non essere messo a morte
a causa loro.
(Continua)
lbuttinifilos@alice.it
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