GIORNATA
DELL’UNITÀ NAZIONALE E DELLE FORZE ARMATE - 88°
anniversario 4 novembre 2006
Novembre 2006
di Enrico Ghioni
Signori
combattenti e reduci. Autorità civili e militari. Carissimi
concittadini. Anche quest’anno mi onoro di partecipare alla
guida della cittadinanza erbese all’anniversario dell’unificazione
nazionale e delle forze armate, che si celebra già da 88
anni. È un tempo lunghissimo, che si avvicina ormai al
secolo. Sono dunque tante le generazioni di italiani che si sono
succedute da quegli eventi, vissuti come sempre più lontani
da molti nostri concittadini. Il loro ricordo rischia ogni anno
di sbiadire irrimediabilmente, di perdere via via di significato
e di vigore, in una società civile spesso distratta e superficiale.
Eppure ci sarebbe un enorme bisogno di recuperare il senso civico
e patriottico che animò tutti coloro che si immolarono
per la patria, che non rifiutarono di sacrificare se stessi per
permetterci di godere della libertà, nella quale oggi molti
vivono quasi senza consapevolezza né riconoscenza per il
loro sacrificio. Ci sarebbe bisogno che gli eroi e i martiri del
nostro passato tornassero in vita oggi, per ridare forza a quegli
ideali che trasformarono l’Italia “di dolore ostello”,
di dantesca memoria, in una delle nazioni più libere e
progredite del mondo. A pensarci bene, però, non sarebbe
giusto richiamare quei memorabili antenati, che hanno sacrificato
la propria vita per la nostra libertà e la nostra indipendenza.
Non sarebbe infatti uno spettacolo dignitoso quello che si troverebbero
di fronte: autorità politiche e personalità dalle
grandi disponibilità economiche, che hanno potuto prosperare
solo grazie ai progressi raggiunti dallo stato nazionale unitario,
e che tuttavia si permettono di sbeffeggiare pubblicamente il
tricolore, di commettere vilipendio contro le massime istituzioni
nazionali, supportati da cittadini che confondono l’inno
nazionale con un motivo da spot pubblicitario e lo sommergono
impudentemente di fischi. Viene da chiedersi se anche costoro
si meritino l’incommensurabile regalo che milioni di giovani,
morti sui campi di battaglia, hanno donato alle generazioni future.
Viene da chiedersi se sia giusto che le loro tombe siano idealmente
profanate ogni volta da queste assurde insensatezze. Chi vi parla
pensa però che tutto quello che è successo abbia
un profondo significato: oggi possiamo infatti affermare che i
giovani che ogni anno ci ritroviamo a commemorare non sono morti
invano, proprio perché con il loro altissimo e drammatico
sacrificio hanno dimostrato che la divisione, la separazione,
la guerra non hanno futuro, sono destinate alla sconfitta. Sono
concetti che riemergono anche dal passato, come nel recente ritrovamento
delle lettere del “sergente nella neve” Francesco
Minelli, deceduto nella campagna di Russia, che così si
rivolgeva dal fronte all’amata consorte: «Cara Nerina,
in guerra non si è più nulla. Si pensa solo al servizio
e a stare in gamba. Tutto il resto si dimentica. Rimane solo il
costante pensiero dei bimbi e dei cari lontani.» La brutalità
della guerra, che spersonalizza e annienta l’identità
personale prima ancora del corpo, è ormai chiara ed evidente
per tutti. Non esiste più una retorica pseudo-patriottica
che possa nascondere la sua tragica realtà. Contro questa
barbarie, contro i rischi che possano tornare i fantasmi di un
triste passato, che sembrava irrimediabilmente sepolto, noi italiani
possiamo allora ritrovare l’unità, seguendo l’altissimo
esempio di chi ci ha preceduto nella costruzione della nostra
nazione. Dobbiamo di nuovo unirci sotto i valori condivisi del
rispetto reciproco, della tutela dei diritti di tutti gli individui
e in particolare dei più deboli, del «ripudio della
guerra come strumento di offesa», secondo quanto prescrive
la nostra splendida costituzione repubblicana.
Dobbiamo dunque vigilare e fare attenzione a non dare ascolto
a quelle sirene che, per biechi interessi di parte, vorrebbero
periodicamente far precipitare nuovamente la nostra splendida
Italia nella barbarie prerisorgimentale, creando dal nulla entità
geografiche che non hanno alcun fondamento storico e ripristinando
gli assurdi steccati che allora dilaniavano la nostra nazione,
soffocata da sterili e impotenti localismi regionali. Oggi siamo
sempre più consapevoli che la separazione porta solo miseria
e distruzione, che la pace è l’unica speranza per
il progresso sociale, civile ed economico dell’umanità.
Allora il ricordo di chi si è immolato può davvero
essere un salutare e doveroso monito al rispetto della dignità
umana. Come scrisse Jean-Jacques Rousseau, «La libertà
si può acquistare, ma non la si recupera mai» (Du
Contrat Social). Da oggi in poi, nel ricordo di chi ci ha preceduti
con il proprio esempio di coraggio e lealtà, impegniamoci
allora a vivere appieno la libertà che altri hanno acquistato
per noi e conserviamola, con tutte le nostre forze, come il bene
più prezioso per i nostri figli.
Enrico Ghioni
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