UNA
PERSONALE RIFLESSIONE SULLA MORTE Novembre 2006
di Lorenzo Buttini
Interrompo, solo per questo articolo, la
serie dedicata a che cosa è la filosofia, che proseguirò
regolarmente dal successivo, per parlare di un tema che, purtroppo,
mi ha toccato molto da vicino: la morte. In seguito riprenderò
e affronterò con maggiore compiutezza di dettagli e considerazioni
questa tematica ripromettendomi di mostrare come si è presentata
nel corso dei secoli e quale concezione i vari filosofi ne avevano,
tenendo pure presente quello che diceva la filosofa tedesca Hannah
Arendt “lungo tutta la storia della filosofia persiste l’idea
di una affinità tra la filosofia e la morte”.
Oggi, invece, farò solo delle considerazioni sotto l’impulso
dell’attualità personale.
In data 14 c.m. veniva improvvisamente a mancare la professoressa
Germana Daveri, madre della fidanzata di mio figlio, ed il giorno
successivo, in Civitavecchia (Roma) la signora Anna Gherardi,
moglie di mio fratello. La repentinità della loro morte
ed il fatto che fossero entrambe ancora molto giovani, in quanto
avevano rispettivamente 62 e 54 anni, mi ha fatto molto riflettere.
Nel corso delle rituali celebrazioni funebri, come durante il
viaggio per la città laziale, forse anche per esorcizzare
quell’inevitabile angoscia che il senso di vuoto per i luttuosi
eventi aveva generato nel mio animo, mi abbandonavo ad alcune
considerazioni sulla morte.
Mi venivano, innanzitutto, in mente le parole del Mazzini: “Chi
riesce a negare l’esistenza di Dio davanti ad un cielo stellato
oppure innanzi alla sepoltura dei propri cari è grandemente
infelice o grandemente colpevole”, il cui corrispettivo
laico sta, a mio avviso, in una altrettanto celebre frase di Kant
“Due cose soltanto sono capaci di incutermi rispetto: il
cielo stellato sopra di me e la coscienza morale dentro di me”.
Nel corso di una delle due omelie la mia attenzione veniva attratta
dal drappo viola posto sopra il leggio dell’officiante,
ove erano incise a caratteri d’oro l’alfa e l’omega,
che rappresentano la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto
greco e meditavo, quindi, sul passo evangelico ove Gesù
diceva di essere appunto l’alfa e l’omega, cioè
il principio e la fine di ogni cosa.
Se il principio di tutto sta nella parola, la fine consiste, invece,
nel silenzio.
La Bibbia non inizia, infatti, mettendo in evidenza l’azione
creatrice e generatrice della parola divina? “Dio disse
sia la luce e la luce fu”, a Dio cioè bastò
pronunciare la parola “luce” per farla essere, per
portarla all’esistenza.
Anche il Nuovo Testamento comincia il suo racconto della vita
e delle opere di Gesù dicendo che all’inizio c’era
il Verbo, che il Verbo era in Dio e Dio era il Verbo, ovvero la
Parola creatrice, la parola come azione, motore della creazione.
Anche sul monte Sinai, quando Dio diede a Mosè i Dieci
Comandamenti, il c.d. Decalogo, siamo in presenza della parola
di Dio come “conditio sine qua non” della creazione.
La parola decalogo, dal greco “deca-logos”, significa
proprio “dieci parole”, sono le parole, i precetti
pronunciati per la vera vita cristiana e che l’uomo deve
seguire per continuare l’azione salvifica della creazione.
Non è poi forse vero che i poeti attraverso la magia della
parola diventano essi stessi creatori del proprio mondo poetico?
Non è altresì vero che la vita umana inizia col
vagito del neonato?
La fine, la morte è, invece, mistero che è soprattutto
silenzio. La parola mistero etimologicamente deriva dal verbo
greco “miuo” il cui significato è “sto
con le labbra serrate, sto in silenzio” Se provate a pronunciare
questo verbo vi accorgerete che dicendo “miuo” non
potete fare a meno di tenere le labbra serrate, la bocca quasi
chiusa come in un religioso silenzio.
La morte è, dunque, mistero, silenzio profondo, anche se
per noi cristiani è la linea di confine che rappresenta
il passaggio ad una condizione più vera, più propriamente
autentica. Ecco perché S. Francesco in quell’inno
di sublime e profonda religiosità che è il suo “Cantico
delle creature” poteva rivolgere le sue lodi a Dio per averci
dato come sorella la morte: “Laudato sii mio Signore per
sora nostra morte corporale”: c’è sì
la morte, è nostra sorella, è nostra parente prossima,
ma essa riguarda solo la nostra corporeità, è solo
“sora nostra morte corporale”.
Concludevo, infine la mia riflessione, ritenendo che quelle due
persone care non erano veramente morte e non solo per le considerazioni
fatte sopra, ma anche perché ritengo che muore veramente
solo chi ha paura di morire ovvero, parafrasando cantante-poeta
Guccini, “muore solo chi ha nel cuore l’odio o nella
mente la paura”.
Attendo trepidamente le considerazioni di Voi lettori su questo
tema scrivendomi all’indirizzo di posta elettronica in calce.
(lbuttinifilos@alice.it)
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