
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Novembre 2007
L’ETICA SPORTIVA
(ottava parte)
Che cosa connotava i giochi ellenici? Soprattutto
l’esaltazione di valori che erano intimamente radicati nell’animo
dei Greci: la concezione della salute fisica come “conditio
sine qua non” di ogni altra attività, il desiderio
di superare se stessi ed i propri limiti, il rispetto profondo,
quasi sacrale, dell’avversario, il rifiuto di ogni utilitarismo.Un
altro aspetto importante dei giochi ellenici, forse prevalente
sugli altri, era la convinzione che l’aspetto fisico costituisce
il riflesso della nostra interiorità: non dimentichiamo,
infatti, che per i Greci valeva il principio del “calòs
cài agathòs”, cioè bellezza esteriore
(calòs) e bellezza interiore (agathòs) erano connesse
e l’una (l’esteriore) era solo il riflesso dell’altra.
Per un greco, insomma, ad un aspetto esteriore sgraziato non poteva
associarsi una bontà d’animo. Se riflettiamo bene
anche oggi abbiamo questi pregiudizi: se vediamo una persona brutta
e trasandata siamo portati a ritenere che sia tale anche nell’anima.
Nel contesto culturale greco lo sport era concepito come arte
e, quindi, in stretto rapporto con l’armonia. Si pensi alle
bellissime statue greche di atleti e specialmente al “Discobolo”
di Mirone ove possiamo cogliere e ammirare una grande armonia
formale, un eccezionale equilibrio delle forze e delle masse in
gioco che viene raggiunto non attraverso l’assenza di forze
e di masse, bensì attraverso la somma delle forze stesse
che riescono a raggiungere un mirabile punto di equilibrio. Nell’immagine
del discobolo vengono così a cristallizzarsi alcune delle
nostre suggestioni più profonde legate alla Grecia classica:
la passione per i giochi olimpici così come li abbiamo
sintetizzati prima, il culto per la perfezione formale e l’armonia
del corpo umano, la calma interiore che promana da esso e che
sembra voler accendere un dialogo con l’eternità.
Anche nell’antica Roma si celebrava l’esaltazione
della competizione fisica però lo sport fu concepito in
maniera diversa, era soprattutto preparazione e allenamento alla
vita militare. Così la sacralità dell’evento
sportivo finì per perdersi nel corso degli anni ed essere
sostituito dall’aspetto di spettacolo in sé con funzione
di intrattenimento collettivo. I romani privilegiarono soprattutto
la spettacolarità dell’evento sportivo; non è
un caso, infatti, che lo sport anziché “agon”
come in Grecia era definito “ludus”, che significa
gioco, spettacolo. Si tentò in verità da parte di
Silla, Pompeo, Crasso e lo stesso Augusto di introdurre in Roma
delle manifestazioni paragonabili agli “agones” greci,
ma non ebbero alcuna presa sulla popolazione, che non voleva rinunciare
ai ludi circensi. Furono perciò apprezzati gli sport più
violenti, quali il pugilato, la lotta e il “pancrazio”,
che costituiva una variante del pugilato ma di gran lunga più
violento. Il riscontro di ciò sta nel successo che riscuotevano
gli spettacoli dei gladiatori, che venivano anche strumentalizzati
come elemento di stabilizzazione sociale, il c.d. “panem
et circenses”, frase coniata dal poeta Giovenale per indicare
gli spettacoli circensi offerti alla plebe dalla politica, cioè
dagli imperatori romani che così si garantivano il mantenimento
dell’ordine pubblico, fondamentale in una città che
contava decine di migliaia di disoccupati. Cosa avvenne con l’affermarsi
del Cristianesimo? La prospettiva muta e non di poco. L’antica
tradizione biblica condannava il corpo e per ciò stesso
lo sport. Basti pensare che la biblica distruzione del Tempio
fu attuata dal momento che era stata organizzata una competizione
sportiva durante la festività del sabato ebraico. La tradizione
ebraico-cristiana aveva sviluppato una concezione di rifiuto pressochè
totale del corpo che costituiva, alla maniera platonica, la prigione
dell’anima. Sembrava quasi che le parole d’ordine
dovessero essere: pregare, piangere, macerarsi nei lamenti con
la finalità di far crollare, minandolo nelle sue fondamenta,
l’Impero romano. Da parte loro poi alcuni imperatori romani,
convertitisi al Cristianesimo, decretarono il divieto di praticare
ogni forma di sport. Con l’affermarsi del Cristianesimo
quale religione ufficiale dell’Impero romano i giochi olimpici
furono declassati ad una sorta di festa pagana tanto che Tertulliano
lanciò l’anatema “palestra diaboli negotium”
(“la palestra è opera del diavolo”) e l’imperatore
Teodosio I° nel 393 li mise al bando. L’imperatore Teodosio
II° nel 475 fece abbattere la statua di Zeus olimpico, il
capolavoro di Fidia, perpetrando un crimine contro il patrimonio
artistico dell’umanità, pari a quello realizzato
in Afghanistan dai Talebani che hanno poco tempo fa abbattuto
le statue di Buddha. Diceva giustamente Schopenhauer: “il
mondo è equamente diviso tra malvagi e folli” mentre
Einstein diceva “due cose solo sono infinite: l’universo
e la stupidità umana, ma della prima non sono poi tanto
sicuro”.
lbuttinifilos@alice.it (Continua 8)
|