Un'anima
tra due latitudini
Novembre 2008
di Antonio Martone
Una delle prime cose percepibili, non appena
si arriva in Africa è l’alta considerazione degli
africani per l’Italia. Un attrazione fatale, che prescinde
dal rapporto, non sempre facile intrattenuto con i nostri connazionali,
incredibilmente paragonabile allo stesso amore tormentato dei
tedeschi per il nostro paese. Ancora più interessante:
tutto in Italia convive apparentemente senza problemi con una
lunga serie di insofferenze ed antichi pregiudizi, anche di natura
sociale ed economica. Nulla di nuovo. Però l’attrazione
si differenzia per due caratteristiche. Per Goethe e per i suoi
connazionali romantici, l’Italia è un paese indicibilmente
bello “…affascina,lusinga e intriga…”
fino a trasfigurarli, sempre pronti però a riaversi con
orrore da questo stravolgimento. Una leggera follia li trasforma,
una volta attraversato il confine: come salmoni che risalgono
la corrente, in estenuanti lunghe code sembrano ubbidire a un
profondo e segreto impulso naturale.
Gli africani invece arrivano in Italia soprattutto per lavoro,
ma i giovani hanno la luce negli occhi e l’entusiasmo alimentato
dai primi rudimenti scolastici, dai racconti di missionari, medici
senza frontiera, volontari più in generale, di qualche
vecchio libro di storia e anche di immagini televisive che fortunatamente
in alcuni luoghi ancora non arrivano.
Il parallelo può sembrare azzardato e forse lo è.
Anch’io ho vissuto l’esperienza dell’emigrante
e posso affermare che oggi è difficile trovare un emigrante
o settentrionale che tra loro non abbiano un parente, un amico,
un conoscente con il quale si va d’accordo.
I grandi artisti stranieri, in passato arrivavano al sud, dal
cui sole si ripromettevano una più rigogliosa fioritura
della loro arte. Nel libro ‘Tonio Kroger’, Thomas
Mann scrive: …è ormai passato il tempo del cielo
di velluto azzurro, vino che arde nelle vene e della dolce sensualità…
In breve non mi và, tutta quella bellezza mi rende nervoso
e poi non sopporto quella gente terribilmente vivace con quello
sguardo di diffidenza e chiusura. Era il richiamo della ‘gelida
spiritualità’ che si traduce in un concetto mediano
che sembra in parte un vero e proprio razzismo simbolico che mette
da parte l’eticità teutoniche e rigide e dall’altra
l’addolcimento e arricchimento del colore e della fantasia.
In pratica l’autonomia e l’indipendenza del nord germanico
si arrocca per poi, in modo altalenante rimanere attratta dal
nostro paese. Com’è vero: c’è sempre
qualcuno che è più a sud o nord di te, non è
una questione semplicisticamente geografica.
Mi domando: i turisti del nord Europa arrivano, tramite agenzie,
portanto i loro denari; gli africani portano le loro braccia,
tramite le psuedo agenzie di sfruttatori. E noi chi siamo? A questo
punto è azzardato paragonarci ad una associazione allargata
ed aperta che vive del contributo/monetario di soci ricchi e del
contributo/lavoro dei soci poveri. Mi piace immaginare una allegorica
oasi per uccelli migratori.
Se così fosse, nella società civile e progredita
quali dovrebbero essere i nuclei, gruppi sani che a loro volta
partecipino in cellule più ampie e via via in assemblee
più allargate. Questo è avvenuto sociologicamente
in passato ed avverrà ancora. Ma il percorso può
essere breve, facile, condiviso oppure lungo, doloroso, se non
addirittura con sopraffazioni. Basta stabilire le regole e rispettarle
e farle rispettare: chi non le rispetta che torni pure al nord
o sud o all’est che sia. Tutto questo nella salvaguardia
di chi resta, di chi ha nella memoria non solo l’Italia
campione del mondo di calcio, ma nazione di cultura, storia, arte
e vita.
In sei anni e mezzo, nel Lecchese è raddoppiato il numero
degli stranieri. Erano 10500 nel 2001, sono passati a 24600 nel
luglio del 2007 ed il 75% è iscritto alle anagrafi comunali.
Nell’ultimo anno il trend di crescita più marcato
si è registrato nella nostra provincia. I dati sono contenuti
nel rapporto redatto dalla fondazione Ismu. Dalla relazione emerge
significativamente che 2 su 5 sono occupati a tempo indeterminato
e che le case di proprietà tra gli immigrati è pari
al 28,6%.
Per completezza, analoghe percentuali possiamo riscontrarle in
Liguria, Toscana e Costiera Amalfitana per i nordici.
Antonio Martone
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