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Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Ottobre 2007

L’ETICA SPORTIVA
(settima parte)

Alcuni analisti finanziari, che hanno esaminato ed analizzato compiutamente i conti delle società di calcio, hanno messo in rilievo l’assoluta incapacità gestionale dei vari presidenti, evidenziando la mancanza di qualsiasi strategia di tipo industriale per la loro squadra: stipendi elevati ai calciatori rispetto ai ricavi, introiti irrisori al botteghino, perdite e debiti colossali, aggiustamento dei conti di bilancio grazie alla supervalutazione artificiosa dei calciatori, ecc. Ma al peggio sembra non esserci mai fine in quanto, una volta che l’Europa ha bocciato il famoso decreto che consentiva di spalmare i debiti delle società in un arco temporale di 10 anni, i presidenti e gli azionisti di ben quattro società per evitare il fallimento e coprire i debiti avrebbero dovuto mettere sul tappeto la bella cifra di 700 milioni di euro. Che cosa si sono inventati? Non potendo ricorrere, come per il passato, alle plusvalenze fittizie per coprire i buchi nel bilancio hanno messo in atto un’altra strategia di “doping amministrativo”: il trucco del marchio societario. Cosa hanno concretamente fatto? Hanno ceduto a se stesse oppure a proprie controllate il “brand” (termine inglese per indicare la “marca”) dopo essere ricorsi ad una sua opportuna rivalutazione contabile. Benché il tutto sia stato certificato da alcuni “luminari” dell’economia che hanno artatamente innalzato le cifre in gioco, altri economisti hanno ritenuto che si sia fatto ricorso solo ad un artificio contabile, a quella che viene definita una partita di giro in cui non c’è alcun reale passaggio di mano di denaro per coprire la voragine del debito. Nonostante questo trucco contabile rimane ancora un debito residuo per le quattro società ammontante a circa 70 milioni di euro. Tale partita di c.d. “doping amministrativo” non è ancora chiusa in quanto, essendo due delle quattro società quotate in borsa, la Consob potrebbe non ritenere lo sfruttamento del proprio “marchio” in armonia con i principi di contabilità.
Dopo aver accennato ad alcuni dei mali più ricorrenti vediamo di capire qualcosa di più sul calcio e sullo sport in generale.
Allo sport è stata sempre legata la nozione di competizione e di gioco, ma tutto ciò sembra essere stato dimenticato al giorno d’oggi. In verità la prima menzione di sport come gioco la possiamo rinvenire nell’Iliade di Omero, laddove Achille, al fine di onorare degnamente la memoria del proprio amico e compagno d’armi Patroclo, organizza, per rispettarne il ricordo, una cerimonia funebre nel cui contesto i guerrieri achei avrebbero dovuto cimentarsi tra loro in alcune prove sportive che il poeta Omero descrive con ricchezza di particolari, come, ad esempio, la gara di corsa ove si registra un avvincente “testa a testa” tra Ulisse ed Aiace. Per la cronaca Ulisse, resosi conto che non avrebbe potuto vincere, invocò l’aiuto della dea Atena, la quale fece scivolare Aiace consentendo così al suo protetto di vincere la gara. Alle inevitabili proteste dello sconfitto gli spettatori reagirono con cori di dileggio, perché pensavano che non era stata la fortuna o un “aiuto esterno” a far vincere Ulisse, ma il fatto che egli aveva meritato il favore della divinità. Non sembra una affinità con la moderna mentalità di alcune tifoserie? Sul piano meramente storico la prima registrazione scritta dei giochi olimpici è datata “Olimpia 776 a.C.”: questa data è comunemente considerata quella ufficiale di inizio della storia dello sport, anche se indubbiamente vi erano state delle competizioni sportive pure in precedenza: non è un caso, infatti, che la mitologia classica ci tramandi le imprese sportive di eroi e di dei (basti pensare alle fatiche di Ercole o di Sisifo). Fu, quindi, nel 776 a.C. che ad Olimpia iniziarono i primi giochi olimpici. I giochi erano detti “agoni” dalla parola greca “agon” che significa “sforzo, competizione”, che se vogliamo ha la stessa radice di “agonia”. Questi giochi avevano un’importanza religiosa rilevante, erano circondati da un carattere di sacralità in quanto attraverso di loro si rinnovava il patto che era stato sancito tra gli dei e le città greche, le quali delegavano appositi campioni delle varie discipline sportive a combattere in nome e per conto loro.Venivano disputati in onore di Zeus, una cui enorme statua, costituente una delle sette meraviglie del mondo, era stata eretta ad Olimpia, un piccolo villaggio del Peloponneso, ed avevano una periodicità quadriennale. Non costituivano solo un mero evento sportivo ma volevano essere una celebrazione dell’eccellenza dell’individuo e, soprattutto, rappresentavano un’occasione per onorare Zeus, la massima divinità. Per il loro carattere sacrale avrebbe costituito un sacrilegio nei confronti del dio la contemporaneità di ostilità durante il loro svolgimento, ragion per cui, per tutta la durata delle olimpiadi, cessavano i combattimenti e veniva stabilita una tregua sui campi di battaglia tra gli opposti schieramenti e si dava pure luogo ad una moratoria per le esecuzioni capitali. In sostanza si voleva che i cittadini greci si dovessero riunire pacificamente e potessero gareggiare e competere in un clima di reciproco rispetto.

lbuttinifilos@alice.it (Continua 7)




 

 

 

 

 
 
 
       

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