FILOSOFEGGIANDO
SU RESPONSABILITA’ CIVILE, ETICA E CARTA PATINATA
Ottobre 2008
di Antonio Martone
Recentemente, colloquiando con un amico,
comunicandogli che era mia intenzione partecipare a uno dei convegni
che ogni tanto vengono organizzati sulla CSR (o RSI, Responsabilità
Sociale d’Impresa) e Responsabilità dei Pubblici
Amministratori e chiedendogli se avesse intenzione di venire anche
lui, mi rispose con assoluta serenità e padronanza della
situazione “…no grazie, è carta patinata”,
tradotta in lingua in ‘art-paper’. Il mio interlocutore
non è certamente un ‘leggero’, non è
certamente un ‘menefreghista’. Al contrario, è
persona intelligente. Ebbene quella ‘carta patinata’
mi è rimasta nell’orecchio. Maturavo pensieri, uno
dopo l’altro. Le parole si combinavano tra loro: “responsabilità”,
”sociale”, “impresa”, “pubblico”,
“civico”; emergeva il “codice etico”,
tornava in mente la “carta dei principi”. Poi, inesorabilmente,
il pensiero tornava alla “carta patinata”. Ma qual
era il nesso, quale enzima, quale l’elemento catalizzatore?
Qual era la chiave di lettura per poter mettere insieme tutte
queste cose? Come poter dare un capo, un corpo e una coda a queste
parole e a questi pensieri?
Ho cercato di scavare tra mille strumenti: gli studi sul “problem
solving”, il pragmatismo, il P.D.C.A.(Program, Do, Check,
Act), riviste specialistiche sulle Pubbliche Amministrazioni,
la vita Di Alcide De Gasperi, articoli sull’ANCI. Ho pensato
anche a Spinosa. Poi, improvvisamente, mi si è illuminato
l’ambiente.
La formula magica stava tutta nell’individuazione della
figura in capo alla quale vi era possibilità di intervento.
Bisognava risalire la corrente alla ricerca di colui il quale
aveva la possibilità di impedire che tutte quelle belle
parole non si traducessero in “carta patinata”. Lasciamo
perdere la responsabilità sociale individuale che risiede
(o dovrebbe risiedere) in ognuno di noi e prendiamo in esame la
questione in ambito societario, comunitario e pubblico.Sfogliando
“magazines” dai titoli più suadenti e alambiccanti,
troviamo citati: il “Comitato Etico”, “L’impegno
associativo”, “Il Governo del Codice Etico”.
Tutto poi va tradotto nei fatti che se corrispondono alle intenzioni
OK! Altrimenti il danno è maggiore e spesso ci si ritrova
in vicoli e strade diverse. Di fronte a tale altisonante nomenklatura
sembra di stare in una botte di ferro. Tutto è perfetto.
Tutto è sotto controllo. Non sfugge nulla. Forse potrebbe
non essere proprio così. Forse potrebbe avere ragione quel
mio amico, quello della “carta patinata”. Quella botte
potrebbe contenere qualche chiodino. Innanzitutto sarebbe curioso
pudicamente trasformare questi “Centri di Comando e Controllo”
in “Centri di Costi”. Quanto costa tutto ciò?
Abbiamo fatto due conti per poter pesare economicamente tali “costruzioni”?
Altra considerazione: se le costruzioni assolvessero appieno il
nobile scopo per il quale sono state progettate e materializzate,
potremmo anche rimanere soddisfatti. Qualche dubbio in ordine
al rapporto costi/benefici però sorge. In caso di rapporto
sfavorevole la cosa sarebbe, contrariamente alle proclamate intenzioni,
poco etica.
Forse queste costruzioni costano, forse costano molto, forse non
funzionano benissimo, forse funzionano solo sulla carta (magari
quella patinata).
Ma, tutti questi Organi Pubblici (tralasciando i relativi costi)
chi ne controlla e ne garantisce il perfetto funzionamento? Difficile
dirlo. Molte volte il cane di più padroni muore di fame.
E’ difficile anche segnalare gli eventuali malfunzionamenti.
Chi alberga in quegli ipotizzabili uffici? Chi regna in quelle
vagheggiate stanze? Vi è forse anche un non visibile dominus
o più dominus di piccola casta della situazione? ( i furbettini
del quartierino). Poi, soprattutto e infine, chi controlla il
controllore?
Nel privato ma soprattutto nel pubblico: tutte queste domande
portano dritto dritto agli organi: “ Assemblee e Consigli”.
Lontano? No, no. Forse sarà farraginoso e tempisticamente
lungo l’iter burocratico, ma l’iter delle responsabilità
e del potere decisionale porta direttamente a questi due organi.
Infatti, qualora dovessimo riscontrare un vuoto in quelle costruzioni
sommariamente poc’anzi descritte, il dovere (unica parola
sottolineata nel corso di tutto il testo) di intervento è
proprio in capo ai dominus che sono a capo del “consiglio”:
i padroni della ferriera.
Quindi: quali sentiti sentimenti in capo ai componenti questi
organi? Quali iniziative prenderanno? Quale codice comportamentale
non scritto farà scattare in loro la molla interventista?
Quale quota di dovere civico e sociale metteranno in campo?
Nel paese in cui viviamo si può pensare di avere ben poche
speranze di vittoria in questa battaglia culturale. E sarà
così, sarà sempre cosi se non tentiamo di far qualcosa
per cambiare la situazione. Allora scriviamo, scriviamo tutti.
Interessiamo gli enti preposti ai controlli, interessiamo l’opinione
pubblica, interessiamo i giornalisti, interessiamo i giudici…
e interessiamo pure la Procura della Repubblica se necessario.
E’ questa la wild card: “stakeholder”. Questo
tremendo, temuto, talvolta (purtroppo non “sempre”)
incontrollabile giudice e finance giustiziere morale di paragone.
Basta guardare gli esempi virtuosi. Si tratta del non sufficientemente
considerato cittadino, dell’accantonato utente, dell’impensabile
fornitore, del sottostimato cliente, del sotto-valutato motore-lavoratore,
del dimenticato osservatore membro della società civile,
di colui il quale esce dall’ombra, prende carta e penna
e da inizio a un’azione che può avere un seguito
impensato. Può parlare, se non scrivere con coraggio.
Tutti ricorderanno le reazioni a livello planetario dei consumatori
nei confronti di una ditta che aveva provveduto alla produzione
dei propri beni nell’area del cosiddetto terzo mondo,utilizzando
della mano d’opera decisamente discutibile e quella ditta
fu costretta alla recita di un umiliante “mea culpa”con
ripercussioni di risarcimento. Nel pubblico non esiste il mea
culpa ci dovrebbe essere solo il giudizio degli elettori? Ma è
equamente sufficiente?
Sarebbe interessante conoscere se quella ditta aveva adottato
il bilancio sociale.
Cari “Codici Etici”, cari “Bilanci Sociali”,
per favore non diventate “Carta Patinata”. So che
non dipende da voi, ma mi auguro che le persone dalle quale dipendete
possano sentirsi responsabilizzate, uscite allo scoperto, avere
uno scatto di orgoglio, farsi effettivamente promotori della battaglia
di rinnovamento. Tutti hanno i loro sogni, anch’io ho il
mio: vorrei che le cariche ricoperte dai componenti gli organi
a presidio e al controllo non fossero solo una riga in più
in un biglietto da visita o ahimè, in alcuni casi, nominati
dai controllati.
Auguro, per il bene della collettività, che la discussione
su questo tema possa allargarsi e ottenere il contributo di tante,
tante, altre persone che, probabilmente anche più di me,
hanno a cuore le vittorie della ragione.
Antonio Martone
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