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Marco Risi a Erba

Intervista al regista di Fortapàsc, figlio del grande Dino al quale ha dedicato il film e autore tra l’altro di pellicole come Mery per sempre, Ragazzi fuori e Il branco.

Ottobre 2009
di Chiara Bernasconi


Ciò che colpisce di Fortàpasc, al di là della vicenda, è questo tono “leggero” da lei utilizzato.
Volevo creare il contrasto tra la drammaticità della vicenda e il carattere del personaggio: Siani era una persona allegra, divertente, amante della vita. In lui non c’era alcun presentimento di morte e ciò lo si è evinto anche dall’auto che utilizzava, la sua Mehari senza vetri e sportelloni. Tra l’altro abbiamo avuto la possibilità di servirci della macchina originale di Siani, che è stata ritrovata proprio durante le riprese. Il film non è solo drammatico: ci sono anche dei momenti leggeri e divertenti e soprattutto viene lanciato anche un messaggio di speranza. Può essere un film fatto con il sorriso: sul set, nonostante sapessimo quanto dolore ci fosse in questa storia, abbiamo avuto la consapevolezza del fatto che Giancarlo fosse una persona molto allegra e serena.

Un plauso particolare va al protagonista. Cosa ci può dire di lui?
Libero De Rienzo è entrato subito nel personaggio. Lo stesso Paolo Siani, il fratello di Giancarlo, si è emozionato nel vederlo recitare: in alcuni suoi gesti e movimenti gli sembrava di rivedere il fratello.

Secondo lei com’è il cinema italiano di oggi?
Oggi il cinema viene caricato di molte responsabilità. Cinema è sì visionarietà ed impegno, ma anche divertimento. C’è stato un periodo nel quale il cinema italiano è stato davvero grande, ossia quando si producevano molti film, anche 300 l’anno; ora la situazione è cambiata, si fanno molti meno film, anche a fronte di pochi finanziamenti e non c’è più la “cultura” dell’andare al cinema e purtroppo ciò accade proprio in un periodo nel quale il cinema italiano sta vivendo una situazione positiva con la produzione di film di qualità.

Cosa consiglia ai giovani che vorrebbero intraprendere la carriera di registi?
Sfortunatamente la situazione non è facile perché si fanno molti meno film ed è veramente difficile riuscire ad emergere. Consiglio loro di dedicarsi ad altro, magari a dei documentari; si può cominciare a fare delle storie con le telecamere digitali: ciò che conta è avere delle buone idee, anche con pochissimi mezzi si riesce a riconoscere se c’è un vero talento o meno.

A Suo parere perché i giovani di oggi tendono a preferire il cinema americano, piuttosto che quello italiano?
Forse perché i giovani non hanno molta voglia di stare troppo a pensare e preferiscono divertirsi. Inoltre può darsi che sia anche per il fatto che il pubblico è stato abituato per troppo tempo a vedere film italiani di scarsa qualità. Adesso però che c’è una ripresa, si dovrebbe cercare di incoraggiarla in tutti i modi, anche per sentirsi partecipi di questa rinascita e per il bene del Paese.
Chiara Bernasconi

 
 
 
       

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