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MADRI ASSASSINE

Settembre 2005
di Dario Meschi

Un recente ed inquietante fatto di cronaca ha coinvolto una giovane madre, che ha ucciso il suo bambino nella propria abitazione annegandolo in una vasca da bagno. Un'altra donna ha partorito un figlio e l'ha gettato nel bidone dell'immondizia, quasi si trattasse di un rifiuto, un'altra ancora ha ucciso il proprio bambino di pochi mesi senza un apparente motivo: tante tragiche storie con la stessa orrenda conclusione, quella di un atroce assassinio. Di fronte a fatti di tale gravità come non porsi degli interrogativi: considerare queste fragili mamme vittime inconsapevoli della sindrome del dopo parto? Ritenerle delle malate bisognose di cure, o delle vittime della depressione capaci di azioni tanto violente?
All'origine dei singoli episodi vi sono storie diverse, dove prevalgono abusi e maltrattamenti, violenze o conflitti coniugali, o semplicemente una malattia che non ha sintomi apparenti, ma che è capace di scatenare delle azioni tanto irresponsabili. Di fronte a fatti come quelli di Cogne e di Casatenovo l'opinione pubblica si divide: gli innocentisti sostengono l'impossibilità dell'uccisione di un figlio, se non giustificata da drammi di enorme disagio familiare. I colpevolisti condannano la madre anche in mancanza di prove, non comprendendo i motivi di un gesto tanto efferato, eseguito forse per istinto, e, In ambedue i casi, emerge l'ipotesi di una grave malattia mentale, e affiorano due possibili considerazioni: una madre può uccidere un figlio non rendendosi conto di quello che sta facendo? Un'altra può essere depressa dopo il parto al punto tale da sopprimere la propria creatura senza che nessuno se ne accorga? E' vero che tutte le donne dopo il parto sono soggette a potenziale pazzia? Quali le differenze tra la crisi del dopo parto, e la caduta nella spirale dell'infanticidio? Prima e dopo la nascita del bambino la madre è colta da fantasie, da paure, e da speranze: è forte il desiderio di far nascere un bimbo sano e di dimostrarsi una buona madre, unito però alla paura di non essere all'altezza della situazione, perché inesperta o stanca, e alla sensazione di disagio per la presunta incapacità di conciliare la maternità con la sessualità, dovendo rinunciare ad una parte di sé. Quando la mamma si trova da sola con il suo bambino, le speranze e le incertezze si traducono generalmente nella necessità di trovare un ritmo comune tra loro. Le preoccupazioni, che hanno una base biologica simile a quella dell'innamoramento, generalmente si traducono in una sorta di immunità destinata ad allontanare ogni desiderio di violenza. La crisi del post parto insorge dopo le prime quattro-sei settimane, quando la donna si sente minacciata nel suo ruolo di madre. Nei deliri di alcune donne compare la figura di una madre ideale e derubante: la donna desidera un figlio, ma la nuova realtà la espone ad un collasso di personalità. Il dramma dell'infanticidio improvviso va rapportato con le potenzialità suicide della donna. Non a caso per ogni donna che uccide soltanto il figlio, ce n'è un'altra che si uccide con il figlio. Nella ragione dell'infanticidio la madre intravede nel bambino una parte di se stessa, vissuta come negatività. I confini delle motivazioni consce o inconsce che inducono a gesti di tale scelleratezza non sono mai completamente accertabili, lasciano spazio a diverse interpretazioni, turbando le coscienze e toccando i sentimenti più intimi e segreti.
Dario Meschi

 
 
 
       

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