BATTISTIN
battistock e la MIRKA
Storia di altri tempi
Settembre 2006
di Archimede Parravicini (detto: Dino)
Nella Brianza contadina dei tempi che furono,
nulla andava sprecato; figuriamoci il latte! Quello non consumato
fresco, veniva, una volta cagliato, trasformato in formaggini.
Si ponevano sulla cappa del camino a colare dal siero, ben sistemati
in file, sopra un’asticella inclinata verso il muro. Chi
avesse voluto controllarne la quantità (il che era anche
un metodo per misurare la ricchezza di quella stalla) era costretto
a strabuzzare gli occhi, perciò si usava dire di uno strabico:
“el guarda su l’ass di furmagitt”. Battistin
battistock era strabico, ma non poco, lo era in modo camaleontico,
i suoi occhi sembravano indipendenti l’uno dall’altro.
Anziano, verso i settanta, l’anima gemella non l’aveva
ancora incontrata, ma, imperterrito, continuava nella ricerca.
Le donne gli piacevano, eccome! Con quel suo sguardo, che non
si capiva mai dove mirasse, le scrutava tutte attentamente: giovani
e meno giovani e per tutte, aveva battute sagaci. Si avvicinava
loro con fare gentile proponendo i propri lavori artigianali,
egli era un provetto cestaio. Battistin conosceva ogni sorta di
legni flessibili del bosco e dalle gabbate di salice lungo i rigagnoli,
ricavava il vimine per costruire cesti, cestini e soprattutto,
“cavagne”. Se i contadini preferivano usare abitualmente
la gerla barenata sulle spalle per trasportare attrezzi e raccolto,
la “cavagna” era, per le donne, un cesto molto funzionale
con la sua forma a 8. Sormontata da un manico nel punto più
stretto, consentiva di camminare speditamente appoggiandola al
fianco, trattenendola al gomito. Battistin non era un Adone: magrissimo,
di bassa statura, leggermente claudicante, aveva una voce stranamente
metallica che fuoriusciva a fatica dall’esile gola; considerato
anche il forte strabismo di cui si è detto, è comprensibile
quali difficoltà incontrasse nell’ottenere favori
dall’altro sesso. Però, una volta al mese, lo si
vedeva di buon mattino alla fermata delle autolinee che portano
a Como: col vestito buono, la camicia pulita, la cravatta sottile
annodata a scapino, in testa un cappello nero con la fascia grigia
adorna di una piuma di gazza. Tornava nel tardo pomeriggio e lo
si vedeva scendere dalla corriera, con il viso rilassato, saliva
i gradini dell’osteria “All’Agnese” quasi
senza zoppicare e ordinava un calice di vino con voce meno metallica
del solito. Anche il suo strabismo sembrava meno accentuato. Si
sapeva dov’era stato! Da quando la legge Merlin aveva chiuso
“le case chiuse” non restava che la Mirka, storica
meretrice di quegli anni in quel di Como.
Archimede Parravicini
(detto: Dino)
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