
Il pozzo di Talete a cura di Lorenzo Buttini
Settembre 2009
CHE COSA E’
LA FILOSOFIA
Per Hegel, come abbiamo già avuto modo di accennare, la
filosofia si caratterizza come “la considerazione pensante
degli oggetti” attraverso la quale gli oggetti vengono colti
quali momenti dialettici del tutto, nel cui ambito trovano la
loro concretezza, diversamente da quanto avviene nelle scienze
naturali che, servendosi dei procedimenti analitici dell’intelletto,
tendono ad isolare gli oggetti cogliendoli, quindi, nella loro
particolarità. Per l’Idealismo hegeliano la verità
non si coglie nella particolarità, ma nella totalità
e la filosofia, essendo appunto la conoscenza di questa totalità,
coglie la verità e si pone al vertice dello “Spirito
Assoluto”, che, dopo aver superato ed inverato i due momenti
precedenti dello “Spirito Soggettivo” e dello “Spirito
Oggettivo”, acquista consapevolezza della propria identità
con tutto ciò che è. Sotto certi aspetti questa
definizione idealistica della filosofia riprende la vecchia concezione
metafisica, e non è un caso che l’ “Enciclopedia
delle scienze filosofiche” di Hegel si chiude con il famoso
passo aristotelico, tratto dal XII° libro della “Metafisica”,
di Dio come “pensiero di pensiero”, “pensiero
che pensa se stesso” perché se esso è, come
è, “intellezione” può esserla non di
qualsiasi intelligibile, ma solo del supremo e cioè di
se stesso. Nello stesso tempo tale visione era l’espressione
di un bisogno fortemente avvertito nell’ambito culturale
ottocentesco, che sul piano scientifico aveva conseguito un imponente
sviluppo delle scienze della natura e sul piano storico- geografico
aveva ampliato la conoscenza di altre diverse e remote forme di
civiltà, facendo così sorgere il bisogno di una
prospettiva conoscitiva unificante, una sorta di “sapere
del sapere”.
Il Positivismo, specie con Comte, fu una sorta di reazione all’astrattezza
dell’Idealismo e, seguendo quella che era una tendenza dell’epoca
napoleonica, anziché parlare di filosofia preferiva parlare
di “ideologia”, concepita come “scienza dai
contenuti ideali”.
Il Positivismo, pur cestinando la filosofia come metafisica e
cercando di restare nell’ambito della concreta conoscenza
scientifica, avvertì lo stesso bisogno di una prospettiva
unificante del sapere che era stato vagheggiato dall’Idealismo.
Nel Positivismo però erano le scienze a costituire l’asse
portante del vero sapere, mentre alla filosofia era riservato
il compito di dare loro una unificazione organica. Comte nel suo
“Corso di filosofia positiva” parlerà della
filosofia come dello “studio delle generalità scientifiche”
attribuendole la finalità “di dare una definizione
esatta della natura e dello spirito di ciascuna scienza, portarne
alla luce le relazioni e le concatenazioni reciproche e riassumere,
infine, tutti i loro principi propri nel minor numero di principi
comuni”.
Anche Spencer, il filosofo che applicò l’Evoluzionismo
a tutti i campi del sapere, parlerà della filosofia come
“conoscenza perfettamente e completamente unificata”,
una filosofia metodologicamente unitaria ed empiricamente fondata.
In ogni caso la nozione metafisica della filosofia come si era
sviluppata sia nell’Idealismo che nel Positivismo subisce
una crisi profonda che porterà alla sua dissoluzione, alla
fine della filosofia intesa come un sapere globale, onnicomprensivo,
in quanto di fronte alle scienze che si mostravano sempre più
particolari e specializzate non sembrava avere ancora senso o
essere giustificabile la pretesa della filosofia di abbracciare
in una visione d’insieme l’intera gamma dei saperi
umani.
Però, oltre a questo, vi furono altri principali fattori
che resero impossibile la realizzazione di un sapere globale,
unificante così come vagheggiato dall’Idealismo e,
in modo diverso, dal Positivismo, sapere che fosse capace di attualizzare
la definizione platonica della filosofia data nell’”Eutidemo”(“uso
del sapere a vantaggio dell’uomo”). Tra questi possiamo
annoverare i primi sintomi del conflitto di classe che si manifestavano
nelle società industriali, la stessa razionalizzazione
del lavoro sociale, l’affermarsi di un tipo di società
che si presentava sempre più vasta e anonima e che,quindi,
faceva venir meno i legami tra le sue componenti.
La filosofia si trovò allora nella situazione non tanto
di difendere il proprio ambito di sapere, demarcandolo dagli altri
tipi di sapere che non ne riconoscevano più la supremazia,
quanto a dover affrontare spinte centrifughe che portavano alla
sua stessa dissoluzione. Le critiche che, sotto diverse prospettive,
Schopenauer, Kierkegaard e Marx rivolsero alla concezione hegeliana
della filosofia non comportarono una diversa, rilevante definizione
della filosofia, tanto che in Schopenauer la filosofia mantiene,
come in Kant, il significato di espressione concettuale dell’esperienza,
però al tutto razionale di Hegel subentra una cieca, irrazionale,
oscura e dolorosa “Volontà”.
lbuttinifilos@alice.it
|